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    Categories: LO SPOT

Shakira e il racconto del mare

illustrazione di Matteo Sarlo
parole di Matteo Sarlo

 

Ci sono i volumi, le enciclopedie, i manuali. Lì dentro sta scritta tutta la nostra storia. Papiri di filosofia, tomi di storiografia e fisica. Poi capita che tutta questa roba venga inspiegabilmente condensata in pochissimo tempo. Capita, per esempio, che Flaubert scriva L’Educazione sentimentale e allora nasca il romanzo moderno. Il che vuol dire proprio iniziare a pensare diversamente. Oppure capita che uno come Newton scriva la legge della gravitazione universale. E tutti a guardare il mondo in un’altra maniera. Questa forma di precipitato del pensiero è sempre esistita e ha attraversato vari medium. Dalla formula matematica all’aforisma al detto popolare. Oggi esiste un’altra forma di condensazione, lo spot pubblicitario. Una sorta di file zippato della cultura contemporanea. Il difficile, certo, è riuscire a tirare fuori tutti i file. Vediamo.
Shakira in minigonna e magliettina a righe cammina per un’Amalfi dorata nell’ora del tramonto. In sottofondo, il motivo di Amarcord di Fellini. La sequenza è girata in montaggio alternato: Shakira; un bambino che le corre incontro (che fa anche da voce narrante dello spot); un uomo che guida una duetto dell’alfa, capelli ricci e un velo di barba.

Qui il testo della pubblicità:

Shakira, Shakira, sta arrivando! Vedrai ti farà passare una vacanza fantastica, spettacoli incredibili, ristoranti sul mare, si prenderà cura di te in ogni momento, ti farà svegliare ogni giorno in un paradiso diverso e ogni notte ti cullerà sotto un mare di stelle. Con Costa ti sentirai una regina.

Passeggiando per le viette di Amalfi, Praiano e Atrani, la cantante risveglia i desideri di (in ordine di apparizione):

  • due preti che ne incrociano la traiettoria
  • uno sposo ancora davanti la chiesa
  • l’intera folla una volta arrivata nella piazza sul mare.

Quando finalmente lei e lui si trovano visà-vis, lei tira dritto per fermarsi davanti all’acqua e guardare, ripresa di spalle, una imponente nave da crociera. FINE.
Il colpo di scena sul finale svela che il montaggio alternato tra lui e lei era soltanto un trucco cinematografico, che la voce narrante («sta arrivando, ti farà passare una vacanza fantastica, si prenderà cura di te in ogni momento e via discorrendo») non parlava dell’uomo (i capelli ricci, il filo di barba, il duetto) ma della nave. Durante gli ultimi tre secondi, poi, la cantante si trova a bordo, alle spalle ha l’isola di Capri e afferma: «Benvenuti alla felicità al quadrato».
Cosa ci racconta questo spot? A risvegliare una delle due pulsioni fondanti per Freud, quella sessuale, non è più l’uomo ma la cosa. La felicità, oggetto di riflessione di tutta la filosofia antica, dalla aristotelica alla epicurea, è a portata di biglietto (persino raddoppiata). E solo a portata di biglietto. Perché se te la perderai, se non salirai a bordo della crociera, sarai infelice.
Quindi, perché pagare per una crociera? Piaccia o non piaccia, i motivi contingenti ci sono e non sono pochi. Pausa dal lavoro, desiderio di pace, lusso, piscine: felicità al quadrato. Oggi oltre 230 milioni visitatori percorrono le rotte del Mediterraneo. Ma il sentiemnto raddoppiato che promette Shakira non colmerebbe soltanto i bisogni istantanei ma anche i motivi profondi che spingono a salpare questi nuovi naviganti del mare.
In Una cosa divertente che non farò mai più David Foster Wallace incentra l’attenzione sul verbo viziare:

Tutte le forme del verbo viziare infestano la brochure delle megacompagnie: “come non vi hanno mai viziato prima”, “A viziarvi nelle nostre jacuzzi e saune”, “lasciatevi viziare”, Fatevi viziare dai caldi zeffiri delle Bahamas”.

Di certo qui si marca tutta la differenza tra il turista e il viaggiatore. Mentre l’uno parte comprando due biglietti, sia per l’andata sia per il ritorno, l’altro non sa quando o se un giorno potrà tornare a casa. Ma non è tanto questo. Lo spot ci sta dicendo altro. Se gli eroi di un tempo erano guidati dal thumos, da quella sfera di sentimenti contro, a guidare i nuovi ceti abbienti sulle navi è l’eros. Devi salpare per afferrare tutto ciò che non hai ancora. Per non perdere quel che solo può riempire il vuoto. In altri termini sul mare non c’è più spazio per la timotica, per l’avventura, per l’ira e l’orgoglio degli eroi ma soltanto per l’erotica, il riempimento della mancanza. Uno scarto che, secondo Peter Sloterdijk, segna il passaggio dalla classicità alla modernità.
Perché Il mare è qualcosa di più che una gigantesca distesa d’acqua. Ed Hegel l’aveva capito benissimo quando, nel paragrafo 247 di Lineamenti della filosofia del diritto, contrapponeva la terra in quanto principio della vita familiare al mare, l’elemento che spinge l’anima verso l’esterno. E continua scrivendo che il mare «porta terre lontane nella relazione del traffico, di un rapporto giuridico introducente il contratto, nel quale traffico si trova in pari tempo il massimo mezzo di civiltà, e il commercio trova il suo significato storico-mondiale».
Il mare allora ha a che fare con la filosofia. Al punto che Emanuele Severino si chiede se in fondo non sono stati loro, i filosofi, a inventare il mare. Ma se la prima vera carta batimetrica degli oceani viene edita a Parigi nel 1905, a segnare con precisione la profondità del pensiero si rischia il naufragio più efferato. Come è accaduto a Kelvin, lo psicologo mandato su una nave spaziale semi-abbondonata orbitante attorno all’enorme pianeta-oceano Solaris, nell’omonimo romanzo di Stanislaw Lem. La superficie del pianeta è un mare gigantesco che si muove di continuo e nel suo vorticare materializza nella realtà i fantasmi del desiderio. Kelvin ritrova così la sua defunta moglie Harey, suicidata dopo che lui stesso l’aveva lasciata. E sarà Harey stessa, o meglio il suo doppio fantasmatico, a confessare:

Sono Harey…però…so che non è vero. Non sono la stessa che un tempo hai amata laggiù. […] Ognuno di voi ne ha uno come me. Proveniamo dalle vostre fantasie o dai vostri desideri rimossi… o almeno così credo. Ma che te lo dico a fare, lo saprai meglio di me.

Pur sapendo, Kelvin ne ha tuttavia bisogno. Pur se ficta, la moglie prodotta dal mare riaccende in lui la morsa del desiderio esponendolo al rischio del naufragio. Di certo ha ragione Lem a scrivere che «l’uomo era andato incontro ad altri mondi e ad altre civiltà senza conoscere fino in fondo i propri anfratti». Allora quella particolare lastra dello specchio del mare costringe alla riflessione, all’azione dei naviganti, all’incontro con l’altro e con se stesso.
E se il mare fosse anche questo allora, un enorme catalizzatore di passioni? Se il mare fosse la concausa che ha portato Meursault a quell’assurdità, quando «dal mare è rimontato un soffio denso e bruciante»? Forse allora le acque che bagnavano la spiaggia de Lo straniero custodivano non il pensiero razionale ma, con Nietzsche, il suo es, i sogni del mare.
Lo spot di Shakira allora è il racconto del nuovo rapporto che la contemporaneità ha instaurato con il mare. Esso a che fare di certo con l’erotica e con la civiltà del riempimento della mancanza. La domanda è se in questa sfera sentimentale, governata dal godimento, possa esserci ancora spazio per l’amore e il desiderio. Non soltanto quello di Kelvin ma anche quello di Albert Camus che, in L’esilio di Elena, stacca poche righe che hanno tutta l’aria di essere una confessione, dedicate alle acque del mediterraneo: «Il mare passa e rimane. Così bisognerebbe amare, fedeli e fuggenti. Io sposo il mare».


Matteo Sarlo ha scritto per diverse riviste filosofiche, di critica cinematografica, viaggi, cronaca e narrativa urbana. Ha pubblicato Passagi sul vuoto, un saggio sul concetto di «vuoto» in filosofia

Matteo:
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