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Xiaomi e la nuova “fiera dell’est”: immagini da un colosso della tecnologia
15/06/2018|L'EVENTO

Xiaomi e la nuova “fiera dell’est”: immagini da un colosso della tecnologia

Xiaomi e la nuova “fiera dell’est”: immagini da un colosso della tecnologia
parole di ANDREA FERRETTI
illustrazione di MATTEO SARLO
Ha aperto a Milano il primo Mi Store italiano. Potrebbe sembrare la replica cinese di un Apple Store, invece nasconde qualcosa di molto diverso. Dietro a Xiaomi vi è una nuova tappa del lungo e continuo processo di trasformazione del nostro rapporto con la tecnologia

“Il più nuovo è il più vecchio” è una formula che si adatta bene a diversi fenomeni dell’oggi. Le “novità” annunciate giorno dopo giorno nascondono spesso la riattivazione in chiave “digitale” e su scala “globale” di logiche antiche, quasi dimenticate. Nel loro divenire improvvisamente “d’avanguardia” queste rimangono riconoscibili, ma al tempo stesso cambiano il loro senso: c’è sempre qualcosa di non accidentale che si trasforma. Riattualizzazione, incorporazione e connessione sono tutti concetti che si richiamano a vicenda e descrivono alcuni caratteri importanti della contemporaneità.

Queste tre parole sono utili anche per comprendere l’ultima novità nel mondo dell’hi-tech italiano. Dopo essere sbarcato in Spagna, il colosso cinese Xiaomi ha aperto il 26 maggio uno dei suoi MiStore in un centro commerciale milanese. Per gli appassionati Xiaomi è un nome conosciutissimo in quanto già da diversi anni era possibile acquistare online i suoi prodotti direttamente dal mercato orientale. Esiste da tempo anche una community dedicata, MiFans Italia. Ora con il suo arrivo in Europa e l’apertura di negozi fisici, Xiaomi potrebbe diventare una realtà molto più mainstream e costantemente presente nelle tasche, borse e case di tutti.

Il motivo principale del suo possibile successo è indubbiamente il rapporto qualità/prezzo. È lontano il tempo in cui “cinesata” era sinonimo di bassa qualità. I prodotti Xiaomi costano meno solo in virtù di una precisa scelta aziendale: mantenere il margine di profitto sull’hardware inferiore al 5%.  Ma come è possibile una strategia del genere? Un’occhiata al nuovissimo negozio milanese può aiutare a farsene un’idea.

“Ma è un Apple Store?”
È questo il primo pensiero che non può non saltare in mente appena si entra in un MiStore. Ci sono gli stessi tavoli di legno, gli stessi colori e la stessa identica organizzazione dello spazio. Persino la fila infinita il giorno dell’inaugurazione è la stessa. Quando però si comincia a passeggiare nel negozio si percepiscono presto le differenze. Ci sono tante cose che in un simil-Apple Store non ci dovrebbero essere! Ok, ci sono gli smartphone e i loro accessori, le tv, le telecamere ma… i monopattini? le lampade? I bollitori per il riso? Gli spazzolini elettrici? Gli asciugamani? Le penne? Sembra molto più di essere in un bazar o in un emporio: non si sa cosa si potrebbe trovare nello scaffale affianco. Dell’Apple Store non è rimasto che il guscio.

Ma cosa unisce oggetti così diversi? Sicuramente alcuni sono legati dal potersi mettere in connessione grazie all’IoT. L’Internet of Things è la tecnologia che permette alle cose di “dialogare” tra loro, scambiandosi informazioni tramite l’accesso alla rete. Oramai il pc è soltanto uno dei tanti nodi della rete: grazie all’IoT la sveglia, le persiane alle finestre e la macchina del caffè sono più simili in virtù dalla loro connettività che diverse a causa loro funzione fisica. Condividendo informazioni, questi tre oggetti (come indefiniti altri!) possono agire ogni mattina in modo del tutto autonomo e coordinato: niente di strano dunque nel trovarle in uno stesso negozio!

L’Iot apre delle possibilità, Xiaomi le realizza in modo del tutto particolare. L’aumento e la diversificazione degli oggetti che produce non deriva (non deriva completamente) da un piano autonomo di ricerca e sviluppo, ma dall’incorporazione di startup emergenti. Il processo creativo viene così in parte esternalizzato: Xiaomi è agli antipodi dell’epopea epico-imprenditoriale a là  Apple. Non ci sono ragazzi geniali chiusi in un garage o capitani di impresa che per realizzare la propria idea rischiano con coraggio tutto ciò che hanno. C’è, al contrario, una infrastruttura impersonale, quasi-illimitatamente flessibile (anche grazie all’ottica IoT) che riconosce, incorpora, brandizza e distribuisce. Xiaomi è una infrastruttura in quanto il suo ruolo è principalmente quello di connettere processo ideativo e commerciale, attraendo, unificando, potenziando e coordinando una intelligenza non (solo) diretta dal centro, ma diffusa. Il suo sviluppo non è così (del tutto) prevedibile, ma determinato (in parte) dall’esterno. La connessione, la “messa in rete” delle idee produce così una rete di oggetti connessi tra di loro. Il macrorganismo che organizza e connette è l’attore finale e ben più decisivo del microrganismo che inventa e produce.

Così Xiaomi può realizzare i suoi bazar hi-tech e mantenere il rapporto qualità/prezzo che la contraddistingue: lo scopo non è tanto quello di trarre profitto sul singolo oggetto, quanto quello di immergere gradualmente il cliente in un “mondo Xiaomi”. Il brand non vuole più essere un “brand di moda” o di “elettronica” o “sportivo”, ma un “brand ambientale”. Ci sarà sempre un nuovo, imprevisto oggetto da scoprire e connettere agli altri, indipendentemente dal “tipo fisico” di oggetto. Nei MiStore rivive il fascino ultracontemporaneo di PortaPortese.

Lo smartphone, ovvero il mercato nel mercato
Nella sua capacità di incorporazione, Xiaomi ha evidentemente fatto propri anche alcuni degli aspetti vincenti di Apple. Oltre all’aspetto dei negozi e all’abbigliamento del suo fondatore (si dice che “imiti” Steve Jobs), Xiaomi ha fatto dell’idea rivoluzionaria della casa di Cupertino il suo prodotto di punta. Ovviamente Xiaomi non è l’unica azienda a produrre smartphones android, ma c’è un motivo, particolarmente coerente con la sua logica aziendale, per cui è proprio lo smartphone l’oggetto per cui è particolarmente famosa.

Cos’è infatti lo smartphone? È il portale per un nuovo ambiente. Si tratta ovviamente di un ambiente online che interagisce sistematicamente sia con le cose offline (in linea di principio lo smartphone può avvisare il bollitore per il riso che stiamo tornando a casa, cosicché possa prepararci la cena) sia con altri enti del tutto digitali. Esattamente come l’insieme delle cose fisiche connettibili, anche l’ambiente digitale a cui lo smartphone ci garantisce costante accesso è indefinitivamente espandibile. Ciò che definisce lo smartphone infatti è proprio la possibilità di unire delle applicazioni (le app, le unità modulari, quasi delle “stanze” dell’ambiente digitale) al telefono cellulare (ormai considerabile semplicemente come una app tra le tante).

Con lo smartphone dunque entriamo in un ulteriore ambiente. Nella misura in cui anche in questo mondo (sempre più estensione del nostro unico mondo che mondo a sé) possono essere offerti, tramite le applicazioni, i servizi più disparati (dall’intrattenimento ai finanziamenti, passando per l’informazione) e personalizzati (tramite la profilazione dell’utente), lo smartphone è la porta di ingresso di un ulteriore negozio, la cui logica è ancora quella del bazar. Vi si può incorporare e vendere di tutto e di più, caratterizzando con il proprio marchio anche questo ambiente. Con una facilità ed una prossimità all’utente ancora maggiore di quella permessa dal negozio fisico. È in quest’ottica che Xiaomi ha previsto di superare presto gli introiti derivanti dall’hardware con quelli derivanti dai servizi che è possibile offrire e vendere attraverso quell’hardware.

Nel MiStore troviamo dunque un emporio dentro un emporio: è un negozio indefinito in cui possiamo comprare un negozio parimenti indefinito. Anche se è stata dipinta come la “Apple cinese”, Xiaomi sembra aderire solo esteriormente al modello americano. Sembra averlo invece incorporato (come una delle tante startup) ed essere andata oltre. Se infatti l’identità e l’attrattività di Apple si è sempre coagulata attorno a poche cose in grado di spiccare “verticalmente” tra gli altri oggetti (sia tra oggetti dello stesso tipo non-Apple sia tra gli altri oggetti in generale) in virtù della loro innovatività ed esclusività, Xiaomi punta “orizzontalmente” alla colonizzazione del nostro ambiente ibrido “onlife”, in tutte le sue possibili forme. Non conta tanto l’oggetto in sé, quanto la sua capacità di generare relazioni e produrre/scambiare informazioni. Lo smartphone è importante solo in quanto è un nodo cruciale e particolarmente trafficato di questa rete di cose (è sempre l’utente). Per usare le parole di Luciano Floridi, “gli oggetti e i processi sono privati della loro connotazione fisica, nel senso che tendono ad essere concepiti indipendentemente dal loro supporto materiale”. Con Xiaomi forse siamo un po’ più vicini alla rivoluzione dell’”infosfera”.


Andrea Ferretti è laureato in filosofia con una tesi sul Senso Comune nel pensiero di G. B. Vico. È appassionato di calcio, folklori contemporanei e giochi di ruolo.

 

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