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Ricordo di Remo Bodei
09/11/2019|L'EVENTO

Ricordo di Remo Bodei

Ricordo di Remo Bodei

illustrazione di Matteo Sarlo
parole di Luciano De Fiore

 

Lo conobbi mentre stavo scrivendo la tesi. Da allora – avevo vent’anni – ho cercato sempre di prestargli attenzione: nelle letture, negli interessi, nella postura civile. Allora, aveva trentotto anni, ma insegnava già alla Normale, e aveva appena pubblicato un libro innovativo: Sistema ed epoca in Hegel. Vi avevo trovato conferma alle mie prime intuizioni su Hegel, e poi molto di più, una ricchezza di osservazioni, ragionamenti e concatenamenti che rendevano già quel libro, come poi tutti quelli che lo seguirono, un regalo da godersi e scoprire senza fretta. Era un libro su Hegel, certo, poi ripubblicato pochi anni fa con il titolo evocativo di La civetta e la talpa. Ma vi comparivano già altri suoi autori: Agostino, al quale dedicherà poi Ordo amoris, Ernst Bloch ed il suo affascinante Multiversum, Spinoza, Pascal e Marx. Un’opera percorsa da quell’ansia di verità che accomuna tutti i filosofi che vogliano dar conto della complessità dell’animo umano, nella convinzione che se si dà una soggettività, questa è desiderante, e non può non intonarsi, polifonicamente, con la ragione.

Riprendendo in mano quel libro, nelle diverse stagioni della vita, al mutare degli interessi e delle prospettive, vi ho sempre ritrovato spunti e slancio per ulteriori ragionamenti. I libri di Remo erano come barche lanciate sul mare della riflessione. Ma che seguivano sempre una rotta che l’autore dettava con estremo rigore. Mutevole, disposta al cambiamento, ma seguendo un’andatura mai a-poretica. Rotte che intrecciavano tantissime discipline, sempre con profitto. La sua attenzione per il nascente affrancarsi dei sentimenti, nel Seicento, lo indusse a scrivere un altro capolavoro che ha per titolo uno splendido ossimoro, Geometria delle passioni, un ricco confronto tra Cartesio e Spinoza su quelle forze che, dimenticato Platone, avevano solo a tratti trovato ascolto nel canone maggiore della filosofia, e che invece sarebbero divenute protagoniste della riflessione e della vita moderna, grazie soprattutto a Nietzsche e a Freud. Le passioni, una volta «pettinate» – come diceva, riprendendo Spinoza – divengono affetti. E del mondo delle passioni e degli affetti si occupa la psicoanalisi, altro suo grande fuoco d’interesse, al quale ha dedicato libri densissimi, come Le logiche del delirio (2000), Il dottor Freud e i nervi dell’anima (2001) e Destini personali. L’età della colonizzazione delle coscienze (2002).

Ma Remo era anche un laico e un uomo di sinistra, dalla coscienza civica e civile trasparente, attento alle vicende del mondo e del suo Paese. Lo testimoniano le prese di posizione pubbliche, discrete e riflettute, senza proclami ma nette, e libri come Il noi diviso. Ethos e idee dell’Italia repubblicana (1998). Remo era convinto infatti che la grandezza di filosofi come Spinoza, Pascal ed Hegel – al quale dedicò un altro studio molto importante, Scomposizioni. Forme dell’individuo moderno (riedito nel 2017) – consistesse nel loro coraggio di non ritrarsi di fronte alla dialettica del mondo. Di non preferire la quiete della terra ferma, come il Kant della dialettica trascendentale, il quale vede il problema, capisce che il mondo è irsuto e non si lascia accarezzare, che le passioni e le forze irrazionali sono sempre attive, ma lo giudica un’insidia dalla quale guardarsi, dalla quale cercare riparo in un intelletto saldo e blindato. No, Remo era dalla parte di quei filosofi che rispondevano all’invito di Nietzsche nella Gaia scienza a mettersi in mare aperto, sfidando la vita per meglio accoglierla, rischiando il naufragio, perché solo il naufragio ci dà la misura del nostro aver navigato, della nostra capacità di prendere l’acqua.

Devo chiudere a malincuore questo brevissimo, modesto ricordo. Tengo per me alcune memorie personali, che mi accompagneranno con gratitudine e dolcezza finché vivrò.
Mi accommiato da Bodei citando una riflessione di un poeta che ammirava molto, Rainer Maria Rilke, e nei quali ritrovo alcuni tratti salienti del suo alto insegnamento:

 

«Si tratta allora non solo di non diffamare e mortificare le cose terrene, ma, proprio a causa della caducità che condividono con noi, questi fenomeni e cose devono essere da noi compresi e trasformati con il più intimo intendimento. Trasformati? Sì, perché il nostro compito è quello di compenetrarci così profondamente, così dolorosamente e appassionatamente con questa Terra provvisoria e precaria, che la sua essenza rinasca invisibilmente in noi. Noi siamo le api dell’invisibile. Noi raccogliamo incessantemente il miele del visibile per accumularlo nel grande alveare d’oro dell’invisibile».

Luciano De Fiore insegna Storia della Filosofia Moderna alla Sapienza, Roma. Si occupa di mare, Hegel, psicoanalisi e passioni.

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