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Quarantena, Nausea e formazione

parole di Adelaide Roscini
illustrazione di Matteo Sarlo

Stare a casa, incontrarsi solo con la propria immagine riflessa negli specchi, non riuscire a produrre altro desiderio se non quello della propria esistenza, invita a pensare a Roquentin, il protagonista della Nausea di Sartre. Sartre già, non Camus. Perché l’apatia di Roquentin meglio s’accosta a quel male che, parallelamente e contemporaneamente al virus, si può insinuare in una quiete sempre simile a se stessa: impegnativa, pervasiva, domestica.

Punto di partenza, Roquentin come “adolescente”.

       Quando si vive non accade nulla. Le scene cambiano, le persone entrano ed escono, ecco tutto. Non vi è mai un inizio. I giorni si aggiungono ai giorni senza capo né coda, è addizione interminabile e monotona. Di tanto in tanto si fa un totale parziale: si dice- ecco, sono tre anni che viaggio, tre anni che sono a Bouville. E nemmeno vi è una fine, non si lascia mai una donna, un amico, una città tutto in una volta.[…] Questo è vivere. Ma quando si racconta la vita, tutto cambia[¼] Sembra che si cominci dal principio. E in realtà si è cominciato dalla fine. La fine è lì presente e invisibile, ed è questa che dà a queste poche parole l’enfasi e il valore di un inizio[¼] Avrei voluto che i momenti della mia vita si susseguissero e s’ordinassero come quelli di una vita che si rievoca. Sarebbe come tentar di acchiappare il tempo per la coda.

È dunque il racconto di un ricordo a rendere interessante la vita di un uomo, non certo la vita stessa nel suo svolgersi. È così che si presenta la storia del protagonista della Nausea, una vita senza storia, un racconto estremamente noioso a cui non prestar più di tanto interesse.

Il nostro protagonista tende a diffidare della letteratura e da qui parte la sua storia a Bouville, cittadina di provincia in cui Roquentin cerca di completare il lavoro di storico consultando i testi della biblioteca municipale ben fornita e poco frequentata. Le giornate trascorse nella camera a scrivere sono delle unità di misura ancor più suddivise al loro interno da una miriade di istanti noiosissimi, in cui sente il passare del tempo sulla sua pelle. Tutto va e scorre mentre lui se ne sta lì a provare a fare qualcosa, continuando a pensare in realtà al colore dei suoi capelli, alla propria faccia bianca, alla propria inettitudine che non vuole essere cancellata neppure dai ricordi interessanti dei suoi molti viaggi.

Non trova nulla di interessante riguardo a se stesso, e anzi, prova sempre più disgusto per sé, per il suo lento e inconcludente lavoro, per gli oggetti assillanti della sua camera, per il suo corpo come materia parassitaria.

 Il tempo è scandito solo dalle righe che lentamente e a distanza di intervalli lunghissimi riesce a scrivere sul poco interessante e, a suo parere, complicato Rollebon. Riguardo al proprio presente egli non si trova affatto impegnato in nulla di avvincente o degno di racconto. L’unica concreta esperienza è quella di scampare alla propria immagine riflessa nello specchio. Ha paura di cadere come al solito nella “trappola dello specchio” in cui è sfaccendato, le braccia ciondoloni, mentre sbadiglia facendosi scendere una lacrima, tenendo la pipa con la destra e con la sinistra il tabacco.

Quali le sue preoccupazioni in questi istanti? Ricaricare la pipa senza però poterlo realmente fare con quelle sue braccia ora inette. Gli resta solo di appoggiare la testa contro il vetro della finestra che non rivela ai suoi occhi nulla di interessante al di fuori di figure irritanti di persone che conducono gesti prevedibili e essenziali.

La vista di ciò che accade nel suo presente non ha nessun ruolo né concreto né consolatorio.
Il ricordo? Anche quello è effimero, più lo si usa, più perde valore. Le storie che restano nella memoria non tornano in mente che con qualche sensoriale stimolo, ma in realtà sono già molto diverse da quello che erano davvero state. Finendo una storia d’amore, come quella tra lui e Anny, non c’è neanche il tempo di soffrirne, perché lo si farebbe di una cosa già non più esistente.
Roquentin non vuole sprecare e stancare i ricordi con espedienti per riuscire a cancellare questa duratura noia:

Per cento storie morte restano però una o due storie vive. Queste le evoco con precauzione, qualche volta, non troppo spesso, per timore di consumarle. Ne pesco una, rivedo lo scenario, i personaggi, gli atteggiamenti. D’un tratto mi fermo: ho sentito una sdrucitura, ho visto spuntare una parola sotto la trama delle sensazioni. Indovino che questa parola finirà ben presto per prendere il posto di molte immagini che amo. Allora mi fermo di colpo, mi metto subito a pensare ad altro; non voglio stancare i miei ricordi. Invano: la prossima volta che li evocherò una buona parte di essi sarà congelata.

E subito dopo Roquentin passa a spiegare come non si fosse mai sentito tanto limitato al solo suo corpo, ai pensieri lievi che affiorano come bolle da esso, al fatto che i suoi ricordi siano costruiti come un racconto, sempre a partire dalla coscienza della fine, che è appunto il suo presente.

Viaggio e avventura

Per Roquentin il viaggio perde ogni connotato formativo o appassionante.
Lo si evince dalle parole che scambia noiosamente con l’autodidatta incontrato talvolta alla biblioteca municipale. Costui è veramente entusiasta della conoscenza di Roquentin, in quanto lo ritiene un uomo fatto, davvero interessante e forte poiché la sua conoscenza è venuta fuori da un buon numero di viaggi importanti in luoghi avventurosi.

Ecco, proprio il tema dell’avventura sconvolge le riflessioni del protagonista del romanzo, che pazientemente ascolta nauseato e disgustato, il suo ingenuo interlocutore, a cui dona delle cartoline dei posti in cui è andato, per farlo felice e toglierselo di torno.

L’autodidatta è figura importante, poiché permette a Sartre di descrivere il giovane che prova a crescere mettendo dentro alle sue esperienze più sale possibile e entusiasmo. Il giovane alla ricerca di iniziazione tanto quanto lo erano stati sia Sartre che Roquentin. Si può parlare per loro di delusione di aspettative? Probabilmente sì, ma c’è dell’altro, ed è proprio la nausea a dimostrarlo a Roquentin:

M’ero immaginato che in certi momenti la mia vita avrebbe potuto assumere un’essenza rara e preziosa. Non c’era bisogno di circostanze straordinarie: chiedevo soltanto un po’ di rigore. La mia vita presente non ha niente di molto brillante. Ma ogni tanto, per esempio quando sentivo la musica nei caffè, riandavo indietro col pensiero e mi dicevo: in passato, a Londra, a Meknès, a Tokio, ho avuto momenti meravigliosi, ho avuto avventure. E’ questo che adesso mi vien tolto.

L’ avventura che è l’elemento caratteristico del viaggio di formazione, si riduce nella Nausea in una mera irreversibilità del tempo: qualche volta si ha la sensazione che si possa fare ciò che si vuole, andare avanti o tornare indietro, altre volte questo colpo non si può ripetere. Ed è qui che scatta l’esistenza di un’avventura. Ma Roquentin non ne vede quasi più l’ombra, e non si ricorda neppure quando mai abbia provato una tale sensazione.

Ricorda però che Anny sapeva trarre dal tempo tutto quanto fosse possibile. Che si ingegnava a moltiplicare i malintesi tra loro due quando stavano insieme, fino a che non restava un’ora prima che si lasciassero per lungo tempo, e in quei sessanta minuti si sentivano passare i secondi uno a uno. Ecco allora come si riusciva a far accelerare il cuore: mettendolo alle strette, ponendogli un difficile traguardo.

Il personaggio che nella Nausea rappresenta meglio il desiderio di avventura e di perfezione degli istanti da vivere è proprio una donna: Anny. Lei metteva sempre precisione in ogni gesto che doveva essere perfetto per quella determinata situazione. La lettera che scrive a Roquentin per dirgli che voleva incontrarlo, è studiata nei colori, nei materiali, negli odori.

E Roquentin tutte queste cose le pensa e le lascia evincere dalle descrizioni. Egli ha proprio l’immagine di Anny come di una scomoda presenza perfettina che dà vita maledetta agli altri, proprio per soddisfare la propria bella e artistica immagine. Quasi la invidia per la sua voglia di vivere bene se stessa.

Anny sapeva vivere il presente nel presente. Perché il passato non è che un buco vuoto. Ed esso è determinato dalla proprietà sugli oggetti. Per questo Roquentin è amareggiato: non possiede che il proprio corpo tale e quale a quello descritto nella trappola dello specchio. La sua sarebbe perciò una prospettiva piuttosto triste e nauseante.

Qual è la sua formazione?

Questa presa di coscienza è la formazione di Roquentin, all’interno del romanzo privo di viaggi e avventura concrete di iniziazione, in cui tutto è descritto mediante i colori e le sensazioni più organiche possibile. Ricorre il viola e il violaceo, compare e persiste la nebbia grigia con la sua nauseante umidità. Essa nasce al mattino e determina nel suo modificarsi durante la giornata, anche l’umore del protagonista, le ossessive idee, l’inconsistenza delle persone dai contorni confusi. È in questo momento che Sartre fa tematizzare al protagonista la funzione degli oggetti: le cose sono soltanto ciò che paiono e dietro di esse non c’è nulla. Se il passato è nulla, lo è anche la storia. Per cui anche il suo lavoro è inutile. Comincia ad accorgersi di assomigliare sempre ad oggetti. Esisto perché penso? (si domanda). In effetti sono solo massa, se mi taglio mi esce del sangue (si risponde). Di una bambina violata e uccisa il corpo esiste ancora, lei non più, perché non pensa. Il disco che gira esiste, l’aria percossa dalla voce che vibra, esiste. Io che ascolto esisto. Tutto è pieno di esistenza, dappertutto densa, pesante e dolce.

A questo punto interviene il personaggio dell’autodidatta. Durante un pranzo noiosissimo pone chiaramente, ma indirettamente, la soluzione a Roquentin:

fuggire dall’esistenza nauseante, non diversa dall’appartenenza a una ideologia, non diversa dal credere tutti gli uomini categorie vuote (come faceva invece il giovane entusiasta). Roquentin è del parere che l’esistenza non ha bisogno di scopi, tanto meno il bene per gli altri uomini.

A ciò reagisce con un’uscita quasi teatrale dal ristorante, in cui immagina tutta la gente lì inutilmente esistente (coppie false, rapporti effimeri e formali), lo osservi stupita. Esce, se ne va a mo’ di granchio. Si avvicina al mare, dicendo di amare di più il clima secco da quello umido della nebbia e qui comincia a riacquistare il libero pensiero in cui parla a se stesso. Così dice a se stesso di essere praticamente del tutto uguale a un parassita che invano cerca appiglio.

Sarebbe insomma adulto, se fosse il protagonista di un comune romanzo di formazione.

Salto giù dal tram. Non ne potevo più. Non potevo sopportare che le cose fossero così vicine. Spingo un cancello, entro, delle leggere esistenze balzano su e si appollaiano sulle cime.  Ora mi riconosco, so dove sono: sono al giardino pubblico. Mi lascio cadere su una panchina tra i grandi tronchi neri, tra le mani nere e nodose che si tendono verso il cielo. Un albero gratta la terra sotto i miei piedi con un’unghia nera. Vorrei tanto lasciarmi andare, dimenticarmi, dormire. Ma non posso, soffoco: l’esistenza mi penetra da tutte le parti, dagli occhi, dal naso, dalla bocca…E d’un tratto, d’un solo tratto, il velo si squarcia, ho compreso, ho visto.

La sua esistenza come quella di tutti gli oggetti gli appare ormai disgustosa, inutile, pura apparenza, un lasciarsi incontrare, una contingenza. Tutto il contrario della necessità che si suole affidare all’esistenza umana. Non risparmia nessun aggettivo orrendo e dispregiativo per caratterizzare quel senso di disgusto.

L’idea di passaggio gli risulta fasulla, inventata dagli uomini. L’esistenza sembra invece non avere evoluzione, è una grossa “bestia immobile” che pesa gravemente sullo stomaco. Anche il brivido provocato dal vento non è qualcosa che passa scotendo: è un ente, pieno di esistenza.

Conclusione, Roquentin “adulto”?

 Seguirà a questa presa di coscienza l’incontro con Anny, ormai invecchiata e arresa di fronte alla vita normale privata dei momenti sublimi che aveva sempre cercato di crearsi. Roquentin la rende partecipe della conclusione a cui era miracolosamente approdato in quei giorni, e quanto si sentisse sollevato dopo tanta tortura. Vorrebbe abbandonarsi a un abbraccio con la sua Anny, dando così vita a un bellissimo momento privilegiato. Ma ora è Anny che si è arresa e lo lascia andare incontro al destino di scrittore della propria vita. Sublime, e da solo.

Adelaide Roscini, laureata in Filosofia, ha conseguito un master in Management delle Reti per lo Sviluppo Sociale.
Opera come Educatrice professionale.

Matteo:
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