illustrazione di Matteo Sarlo
parole di Giulia Sinceri
La normalità. “L’appuntamento che ho avuto con quel ragazzo è stato normale” non suona come il presupposto ideale per una grande storia d’amore. Questo perché di solito siamo abituati ad associare la normalità a qualcosa che non si distingue dalla massa, mentre essa talvolta sa porsi come un elemento chiave e facilmente identificabile. Prendiamo il mondo della moda: quest’ultimo è spesso foriero di statement pieces decisamente caratteristici, come le camicie femminili dalle maniche oversize che impazzano ultimamente.
Eppure, accanto ai trend più bizzarri, negli ultimi quattro anni ne sta emergendo uno basato sulla normalità, il cosiddetto trend normcore. Si tratta di vestirsi in maniera easy, con capi basici e neutri, tanto da arrivare a possedere una sorta di divisa sorprendentemente caratterizzante. Idea che aveva fatto propria, seppur da molto più tempo, anche Steve Jobs: provate a visualizzarlo nella vostra mente e vi apparirà subito la sua immagine con addosso l’iconico dolcevita nero, potete scommetterci.
Inoltre la sobrietà dei gusti si sta manifestando da parecchio anche in ambito gastronomico, dove alcune delle parole d’ordine sono ritorno alla semplicità, territorialità e tradizione. Lo evidenzia anche un articolo pubblicato a gennaio dal Gambero Rosso.
Ma come spiegarsi il successo di questa tendenza ormai tentacolare? Sarà che talvolta abbiamo solo bisogno di un break dalle particolarità, cedendo così a un caldo abbraccio normcore. Inoltre stanare continuamente delle novità non è facile, la fantasia talvolta viene a mancare. Perciò alcuni temi vengono riproposti ciclicamente, approfittando dell’avvento di nuove generazioni o facendo affidamento sulla nostalgia, altro trend che ultimamente è sulla cresta dell’onda nel campo cinematografico e televisivo: ne sono una prova i vari sequel come Trainspotting 2 o Blade Runner 2049, il grande successo di Stranger Things e il suo vibe anni ’80, o ancora programmi Rai come Nemicamatissima e C’era una volta Studio Uno. Ovunque ci giriamo, il passato torna prepotentemente. E se non fosse invece che a tornare non è il passato ma la sua immagine fantasmatica?
Non si devono sottovalutare due fattori essenziali come la nostra sempreverde necessità di incontrare il reale e di seguire il filo di racconti, per quanto essi siano stati già sfruttati in precedenza; se così non fosse avremmo smesso di guardare la televisione e di andare al cinema già da diverso tempo. Come diceva André Bazin, infatti, le persone avvertiranno sempre il bisogno di ritrovare il reale attraverso le sue apparenze: perciò la realtà non diventerà mai noiosa, l’importante è saperla affrontare da diverse angolazioni.
This is us, la straordinarietà del normale
Ma forse c’è qualcosa di più: dopotutto queste storie normali contengono in sé qualcosa di speciale. Vengono mostrate in televisione e sottoposte dunque all’attenzione di migliaia di persone. Si opera così una sorta di transfert in cui la normalità diventa straordinaria e se noi siamo ciò che vediamo sullo schermo allora anche noi siamo straordinari. Probabilmente a ciò si deve l’iniziale successo di reality show come il Grande Fratello, dove persone comuni diventano oggetto di grande interesse per il solo merito di trovarsi sotto i riflettori e sotto gli occhi degli spettatori, creando un processo che legittima sia chi guarda sia chi è guardato.
Il caso Stoner
Un effetto simile lo si ottiene leggendo Stoner di John Williams, romanzo che tratteggia la vita di un uomo comune, anzi comunissimo. Quando venne pubblicato nel 1
Mentre lo si legge, infatti, il libro si abbarbica alla mente, e, anche dopo averlo finito, lo si ricorda con chiarezza (a differenza degli studenti di Stoner che dopo la sua morte serbano poca memoria del loro professore). Forse anche noi speriamo che gli altri si possano interessare allo stesso modo al nostro storytelling: dopotutto è quello che facciamo ogni giorno sul nostro profilo Facebook, ovvero ricercare approvazione per la sequela dei semplici post che condividiamo e che riflettono il nostro modo di essere.
Vivian Maier, semplicità segreta
Il processo che però li ha portati a diventare cult risulta inverso rispetto alla norma: solitamente diventa tale ciò che ci colpisce per la sua natura particolare e stridente rispetto al contesto in cui nasce, come la famosa scena di ballo in Pulp Fiction che è entrata nell’immaginario popolare diventando fortemente riconoscibile. Con Stoner, This is us e l’opera della Maier si parte invece da elementi identificabili nell’immediato e che solo in seguito assurgono allo statuto di cult, uscendo dunque fuori dalla matrice “ordinaria” che li ha generati.
Giulia Sinceri è una studentessa di Media, Comunicazione digitale e Giornalismo alla Sapienza. Alle elementari diede vita al racconto “Il frullatore magico” e da lì capì che scrivere era la sua strada. Solo che adesso scrive principalmente di cinema, non più di elettrodomestici.