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Loro 1: Il Gioco dei Pronomi in Sorrentino
10/05/2018|L'EVENTO

Loro 1: Il Gioco dei Pronomi in Sorrentino

Loro 1: Il Gioco dei Pronomi in Sorrentino
illustrazione di Matteo Sarlo
parole di Andrea Ferretti
La prima parte di Loro rappresenta il senso di un serie di spaccature: quella tra Loro e Lui, Noi e Loro, Lui e Silvio, Veronica e Silvio. Muovendosi dalla dimensione socio-culturale a quella più intima e personale, il lavoro di Sorrentino è un affresco per riflettere a 360° sul protagonista indiscusso di un tratto della nostra storia comune.

Fin dal titolo “Loro” ci (im)pone in una ben precisa posizione rispetto a chi e a cosa stiamo per assistere: l’opposizione distaccata. Da una parte ci sono Loro ad agitarsi sullo schermo e dall’altra ci siamo Noi seduti in sala. Gli uni contro gli altri, come due insiemi umani incomunicabili ed irriducibili. Il titolo funziona quasi come una rassicurazione: non parleremo di Voi, ma di Loro. La terza persona è del resto la persona della distanza, indica qualcosa o qualcuno che si dice, ma che non è in rapporto diretto con chi parla. Nel dialogo tra l’io (del regista) e il tu (dello spettatore) si indica un terzo esterno: tutta la prima ora del film è proprio dedicata alla compiaciuta descrizione di questo Loro. Si tratta, come era prevedibile, del circo grottesco di feste lussuose, prostitute e cocaina in cui si consuma quella che dovrebbe essere la classe dirigente del nostro paese. Dopo la Grande Bellezza già sappiamo come questa esplosione di mistero e sensualità, oscillante tra i marmi dei salotti nobiliari e i tunz tunz delle discoteche, sia il codice cinematografico con cui Sorrentino dice la disperazione e il cinismo di quegli anni. Il più alto e il più basso si mischiano in atmosfere che ci ripetono sempre la stessa cosa: tutto è uguale davanti alla morte di ogni ideale, di ogni criterio d’ordine veritativo e morale. Rimane la dissipazione dei sensi più sfrenata, insensata, surreale e in fin dei conti impotente: la decadenza umana si rispecchia nella miseria degli atti sessuali effettivamente praticati nelle stanze della Roma sorrentiniana.

Loro e Lui

Ciò che cambia rispetto al film premio Oscar è però il punto di vista di chi si muove su questo sfondo: dall’ironia leggera dell’intellettuale che si lascia portare dalla corrente si passa alla furbizia grossolana di chi questo caos cerca di organizzarlo e dirigerlo. C’è chi tutto ciò lo crea. Questo cambio di prospettiva non è cosa da poco; è infatti proprio passando da Jep Gambardella a Sergio Morra che Sorrentino approfondisce il senso del “Loro”. Al centro della scena ci sono proprio coloro che da quel mondo sono stati formati e che quel mondo sono e desiderano. Non si tratta più di osservare divertiti, accettando la sospensione del giudizio come unica forma possibile di sopravvivenza, ma si tratta di fare e di essere, di focalizzare il desiderio in quanto anticipato, formato e diretto da quella realtà. Con Loro sprofondiamo senza punti di vista quasi-esterni o dotati di una qualsiasi capacità di distacco.

In questa prima ora del film Berlusconi è assente eppure è presente ovunque. Non c’è Berlusconi, ma la sua creatura socio-culturale, il berlusconismo. Sorrentino raffigura la chimera risultante della fusione delle logiche dell’impresa, della pubblicità, dello spettacolo e della politica/istituzioni. Noi vediamo il suo mondo, dove tutto è diventato indifferente e posto sullo stesso piano. Tutto, tranne per l’appunto Lui: chiamato, atteso, invocato, desiderato, mai nominato “invano”; Berlusconi è l’unica presenza/assenza verticale in un mondo che ha oramai reso tutto orizzontale. Il ministro, l’imprenditore, la puttana, il magnaccia sono il loro che non può fare altro che lottare per orbitare il più possibile vicino a Lui. Lui, la terza persona singolare, l’unico uomo che “si è davvero fatto da solo in questo paese” da cui dipende il “farsi” di tutti gli altri loro. È evidente come per tutti esista sempre un altro loro, un’altra cerchia di “quelli che contano” in virtù dalla loro vicinanza al Presidente. Anche quelli che sono nel film, che costituiscono il loro, continuano a loro volta, ossessivamente, a dire e ad aspirare a un altro loro. Il “tutto è uguale”, l’assenza di ogni criterio, si rivela essere il regno dell’arbitrarismo più assoluto: la volontà Berlusconi, un po’ Messia e un po’ Papa, è il Sole, il centro assoluto del suo mondo (a questo Figlio-Sommo Sacerdote potremmo affiancare la misteriosa figura di Dio). Nel senso di questa onnipotenza si può leggere la battuta di Spagnolo, sinistro braccio destro di Lui: “io sono un biografo, scrivo le vite. Oggi scrivo la tua”.

Noi e Loro

E noi? Posti difronte a questo spettacolo possiamo sorridere, indignarci, disgustarci, possiamo esserne invidiosi, sentircene ingiustamente esclusi, desiderarlo. In ogni caso, aspirando o denigrando, tutti diremo, per l’appunto, LORO! Il titolo non è dato tanto dal regista, quanto dal noi che, guardando il film, manifesta la sua distanza da quel mondo del potere, odiato o desiderato. Qualsiasi sia infatti il noi che contrapponiamo a quel loro, c’è soltanto perché si oppone a quel loro. E ciò avviene proprio perché invece di dire VOI! ci siamo abituati a dire LORO!: ad una opposizione viva, fondata sullo scontro diretto ed il riconoscimento dell’appartenenza allo stesso mondo, si è optato per la presa di distanza del “noi non siamo come loro”. Senza mai spiegare in cosa consistesse praticamente la distanza, questa ha finito invece per costituire il massimo comune denominatore tra chi la percepiva nell’aspirazione e chi nella repulsione. Preoccupandosi più di evitare il contatto che di organizzare il confronto, si è lasciato il mondo a loro.

La forza di Berlusconi e del suo impero mediatico è stata quella di saturare completamente l’immaginario civile ed etico, al punto tale che o si è loro o si è un noi definito essenzialmente come non-loro. Gran parte della cultura politica di intere generazioni di italiani si è ridotta ad una scelta manichea tra Berlusconismo ed Anti-Berlusconismo: qualsiasi posizione si voglia prendere in questo schema, è comunque la figura del Presidente a definire i termini del discorso, i fini e i concetti della questione. Sia che lo si voglia affermare o negare ciò che sta al centro è sempre Lui e dunque, di conseguenza, Loro. Tolto Lui, questa terza persona attrattiva, c’è il vuoto. Insomma, siamo costretti a riconoscere che ciò che pareva un rassicurante distacco si rivela essere in ogni caso una inquietante assimilazione: in quanto non-loro, siamo diventati tutti un po’ loro, siamo tutti nell’orbita di Lui. Abbiamo infine imparato a vedere il mondo, ancor prima che la politica, con i loro occhi sprezzanti e disincantati.

Lui e Silvio, Silvio e Veronica

La stessa coppia oppositiva tra Berlusconismo ed Anti-Berlusconismo viene replicata all’interno della dimensione più intima e profonda del Loro: Silvio e Veronica. Ridotto ai minimi termini, al rapporto tra un Lui e una Lei, il loro riproduce lo pseudo-antagonismo tra “Mediaset e Rai Tre”, “libertà e comunismo”, “cultura del fare e libri difficili”. È questa stessa divisione del resto a rendere possibile il mondo plasmato da Berlusconi, tramite quella forza della “convinzione” che egli rivendica esplicitamente nel dialogo con il nipote. La realtà del resto non è mai contata niente se non all’interno del nostro modo di comprenderla e di farla comprendere. Così, quando Veronica sfoggia il suo libro di Saramago o le sue orrende sculture, lamentandosi di non avere un ritratto di Bacon sullo yacht, sta ancora ragionando in modo del tutto (anti)berlusconiano. E Silvio, non a caso, se la ride, perfettamente a suo agio: “è sempre bello che un premio Nobel parli di me”.

Se Berlusconi appare come forza demiurgica, in grado di tessere la rete della propria realtà e di catturarvi un intero paese, il film ci mette anche difronte alle smagliature, ai limiti di questa stessa realtà. Berlusconi entra in scena mascherato da odalisca e sotto la maschera non troviamo un volto, ma una nuova maschera: la mimica di Servillo è un impasto di argilla e trucco, il suo enorme sorriso è qualcosa di molto più vicino ad un artefatto che ad espressione umana. Quella stessa distanza tra Noi e Loro la ritroviamo infine nello stesso Silvio, come distanza tra l’Io e il Lui. È  questo il dramma di Silvio: l’Io è diventato Lui, la prima vittima della sua maschera, il primo prigioniero della sua stessa rete. Ma in fondo, fino a che punto è sua la rete? Quanto lo stesso Silvio non è stato preso all’interno di forze più grandi e oltre la sua capacità di direzione, quanto non è Lui stesso diventato schiavo di quei Loro-sanguisuga da cui è contorniato? In fin dei conti non si uscirà mai da questo dilemma: fino a che punto Lui ha creato Loro e non Loro hanno creato Lui. Da demiurgo a risultato di tendenze endemiche e del popolo italiano e della sua storia, da astuto manipolatore a semplice epifenomeno il passo è davvero breve ed è forse davvero solo questione di prospettiva. Nessuno, nemmeno l’uomo più potente e geniale, saprà mai in che punto la sua autonomia sia rovescia in eteronomia.

Non è forse un caso se il libro di Saramago mostrato da Veronica è proprio L’Uomo Duplicato. Nel romanzo un professore di Storia scopre l’esistenza di un attore in tutto e per tutto uguale a lui. I due sono indistinguibili, ma al tempo stesso diversissimi. Se la prima parte del libro è dedicata alla ricerca del proprio doppio, la seconda parte racconta le conseguenze del loro incontrarsi. A soffrirne particolarmente è Helena, la moglie dell’attore, che cade vittima di una profondissima angoscia: “la comparsa di quell’uomo [il professore di Storia] è un fatto che non possiamo cancellare o rimuovere, anche se non lo facciamo entrare, anche se gli chiudiamo la porta, resterà ad aspettare fuori finché non riusciremo più a sopportarlo”. Forse Veronica sta cercando, attraverso la figura di Helena, un modo per distinguere Silvio da Lui, pur nella terribile consapevolezza della quasi “indistinguibilità” oramai raggiunta dalle due figure: “se mi allontanassi e tornassi subito dopo non saprei chi è l’uno e chi è l’altro e se uno dei due uscisse, se ne andasse via, con chi sarei rimasta io, dimmelo, sarei rimasta con Te o sarei rimasta con Lui?”. Alla fine del romanzo Helena compirà una scelta ben precisa e già sappiamo che sarà diversissima da quella che vedremo compiere a Veronica in Loro 2…

Il tema del film diventa così il rapporto tra il creatore e la sua creatura, mentre il rapporto di Silvio con Veronica si pone come il punto di resistenza e crisi ad una completa assimilazione/identificazione dell’uno con l’altra. E non lo è in quanto rapporto con l’“antiberlusconismo” della moglie (cioè con l’altra maschera che lui stesso ha creato), non in quanto rapporto tra un Lui e una Lei, ma in quanto rapporto banalmente coniugale, tra un Io e un Tu. E il Tu di Veronica chiama l’Io di Silvio, e viceversa. È qui che l’uomo e la donna emergono, a fatica, dai ceroni delle maschere e le battute della farsa. Quanto è più angosciosamente umana l’espressione di Servillo durante l’abbraccio con Veronica su cui termina Loro 1? L’abbraccio tra Silvio e Veronica fa il paio con il bacio tra Sergio e la moglie Tamara su cui si chiude la festa in piscina a base di MDMA: sono momenti di crisi della maschera, in cui la straordinaria semplicità del legame tra due persone emerge attraverso e anche grazie alle più articolate sofisticazioni, ideologiche e/o chimiche che siano. Riprendendo il motto che compare sulla locandina del film, sono questi i momenti in cui il “tutto vero” (della maschera) si mostra come “tutto falso”? Sicuramente sono i momenti in cui si rappresenta come, riprendendo un’altra battuta ripetuta più volte nel film, “tutto non è abbastanza”, per nessuno.


Andrea Ferretti è laureato in filosofia con una tesi sul Senso Comune nel pensiero di G. B. Vico. È appassionato di calcio, folklori contemporanei e giochi di ruolo.

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