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L’opera-totale di Malcolm Lowry e l’Ubriachezza del Mondo.

parole di Marco Quaglia
illustrazione di Matteo Sarlo
Oggi sono 61 anni dalla morte di Malcolm Lowry. Più di quanti ne abbia vissuti. Rileggiamo allora Sotto il Vulcano, da quest’anno nella nuova traduzione di Marco Rossari

Sotto il vulcano è un libro complesso. Lo era all’epoca della sua uscita, 1947, e lo è a maggior ragione oggi. Di certo si tratta di un classico. Ma uno di quei classici di un canone dimenticato. Nel 2018 Feltrinelli decide di rilanciarlo con una nuova traduzione firmata da Marco Rossari.

Un libro complesso, si diceva. Senza ombra di dubbio un libro generato dalla perfetta simbiosi tra la materia letteraria e il suo autore: Malcolm Lowry. Bevitore leggendario Lowry è stato l’unico autore modernista inglese dopo Virgina Woolf. Ma se l’autrice londinese rappresenta per molti il canone della figura letteraria del XX secolo (scrittrice, saggista e attivista); Lowry è l’anima tormentata dello stesso, il rappresentante più autentico di una lost generation di cui solo lui in realtà fece parte almeno da questa parte dell’oceano. Curiosamente entrambi decisero di togliersi la vita.

Per chi non lo sapesse, il libro è il racconto delle ultime 12 ore di vita di un ex console britannico in Messico, nella città di Quauhnahuac. Geoffry Firmin è un alcolizzato senza pudori – proprio come Lowry -, la cui vita è ormai una tormentata e quanto mai simbolica salita verso la cima del vulcano Popocatepetl. In quel 2 novembre del 1938, il Giorno dei Morti, si aggiungeranno i rimpianti, i litigi e le incomprensioni con altri due personaggi chiave: la moglie Yvonne, che lo ha abbandonato da un anno, e che all’improvviso ha fatto ritorno, e il fratellastro Hugh, un cantante fallito ma idealista, di ritorno come volontario dalla Guerra Civile spagnola.

Il libro è scarno di azione ed è occupato per la maggior parte dalle allucinazioni, dai tentennamenti e dagli scatti di ira del Console, oltre che degli altri due personaggi. Tutto come detto si svolge nell’arco di un giorno – espediente che affianca Lowry a Joyce, ma anche alla Woolf de La signora Dalloway. Sia Yvonne che Hugh sono in città per aiutare Geoffry, ma in realtà fra i tre si erige sempre più drastico un muro di incomunicabilità che sarà anche tragico e fatale. Certamente l’aspetto più doloroso che Lowry esplora è quello dell’amore ormai esaurito tra il Console e Yvonne. I dialoghi tra i due sono elettrici e patetici allo stesso momento:

“Non provi più nemmeno un po’ di tenerezza o di amore per me?” domandò all’improvviso Yvonne, al limite del patetico, voltandosi verso di lui, e lui pensò: Sì, io ti amo, ho ancora tutto l’amore del mondo per te, solo che l’amore sembra così distante da me, e perfino così estraneo, perché è come se riuscissi quasi a sentirlo, un ronzio o un pianto, eppure distante, molto distante, e un triste suono smarrito, che potrebbe avvicinarsi o allontanarsi, è impossibile capirlo. “Riesci a pensare solo a quanti bicchieri ti berrai?” “No,” rispose il Console (…) “no, certo che no… Cristo santo, Yvonne!”.

Anche i paesaggi messicani sono a tutti gli effetti protagonisti del libro; lo è certamente il vulcano, monito incombente sulle teste di tutti e meta ultima del Console, così come lo sono le viuzze, le piccole piazze, i randagi e l’umanità cenciosa delle cantinas. Eppure, come in una pittura di Diego Rivera abbiamo sempre un muro davanti. Lowry sembra essere consapevole del fatto che c’è molto altro dietro ogni persona ma che ogni uomo è in fondo un segreto e un mistero, e il più ci è negato. Su tutti, il mistero del libro, sarà rappresentato dall’indio che i tre protagonisti troveranno moribondo sul ciglio di una strada: una rapina andata male, una caduta da cavallo, non è dato sapersi. Siamo già ben oltre la metà del libro. La legge messicana impediva di prestare soccorso per non compromettere la scena di un eventuale crimine e per questo in quei casi ci si girava dall’altra parte. Il tentativo che nonostante tutto verrà fatto per dare il minimo sollievo al moribondo innescherà la ruota del destino – che per Lowry è ruota infernale – come il risultato di un capriccio divino degno della tragedia antica.

La fine del libro è senza appello, eppure chiara in retrospettiva. No se puede vivir sin amar si legge su una facciata di una casa di Quauhnahuac. Il Console se ne andrà con solo questa consapevolezza.

Lowry ha disposto del suo genio fin quando è stato in vita in modo del tutto inconsapevole, al pari di un bambino intento ad esplorare i limiti del proprio mondo. E proprio come per il protagonista del libro, fu solo l’amore o il ricordo di questo a garantirgli di tanto in tanto rifugio e pace. Non fosse stato per la moglie Margerie, ad esempio, che lo seguì un po’ ovunque nel mondo, dal Canada fino alle pendici dell’Etna, forse nemmeno il libro avrebbe mai visto la luce.

La genesi dell’opera è infatti tanto importante quanto l’opera stessa. Frutto di un lavoro estenuante durato un decennio e di almeno quattro riscritture, Sotto il vulcano, fu presentabile per l’unico editore britannico diposto a pubblicarlo, proprio perché Margerie, laddove Lowry creava senza alcuna responsabilità e senso del limite, ribatteva a macchina giorno dopo giorno le follie del marito, tenendo le fila del romanzo.

Alla sua pubblicazione diede comunque, ad onor del vero, un contributo decisivo lo stesso Lowry, con una lettera al proprio editore che è diventata leggendaria in cui difese con lucidità inusuale e quasi pedissequa la sua opera. In gran parte di questa corrispondenza, consultabile in modo completo, lo stesso Lowry poneva Sotto il vulcano come prima cantica di una trilogia simil-dantesca di Inferno, Purgatorio e Paradiso mai realizzata ma comunque ispirata dal mescal.

Sotto il vulcano resta un vero e proprio unicum nella storia della letteratura del secolo scorso. Con tutti i difetti ascrivibile ad un impresa così straboccante, nel merito e nel metodo, è una vera opera di ingegneria letteraria – romantica e cinematografica – la cui solidità sembra essere sempre lì lì per crollare sotto il peso della sua stessa audacia. Allo stesso tempo, e proprio per questa sua non-riproducibilità, rappresenta anche il più straordinario grido d’aiuto che un uomo abbia urlato in faccia ad un mondo che sbandava tra una guerra mondiale e l’altra come un alcolizzato.


Marco Quaglia è laureato in Relazioni Internazionali. Nel 2017 ha pubblicato insieme a Shareable.net un libro collettivo sul fenomeno delle città condivise “Sharing Cities: Activating the Urban Commons“. Cura un blog di letteratura.

Matteo:
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