illustrazione di Simona Bramucci
parole di Cosimo Lupo
Ritratto di Stephen Hawking. L’uomo che ha voluto dimostrare l’impossibilità di viaggiare nel tempo organizzando un party e spedendo gli inviti solo dopo che l’evento si era concluso.
Sarò capitato ad ognuno di noi, almeno una volta nella vita, di apostrofare come un Einstein qualcuno particolarmente versato nella matematica o, per estensione, nelle scienze. Merito del genio e della (meritata) popolarità dello scienziato tedesco, sfociata nell’onnipresenza del suo pacifico faccione nella cultura pop del XX secolo. Ovviamente, la maggior parte delle volte sarà stata un’iperbole, eppure in alcuni casi il paragone potrebbe reggere. Ce ne sono stati – e ce ne saranno – di scienziati soprannominati (a buon diritto) novelli Einstein.
Uno, in particolare, godeva di tale fama fin dalle Superiori, ben prima che le sue strabilianti doti speculative in campo scientifico divenissero chiare agli altri e soprattutto a se stesso. Spinto dal suo insegnante di matematica, che come spesso accade in questi casi ci vide lungo, si iscrisse alla Facoltà di Fisica e Chimica all’Università di Oxford. Fu lì che questo giovane ragazzo riconobbe finalmente la sua strada ed iniziò a far conoscere il suo nome nell’ambiente accademico che conta: Stephen Hawking.
È stata però l’Università di Cambridge a fare da palcoscenico agli eventi che maggiormente hanno segnato la sua vita, rendendolo nell’immaginario collettivo l’icona per eccellenza del fisico teorico, quasi surclassando quell’Einstein a cui tanti particolari lo legano. È a Cambridge, infatti, che scrisse la sua tesi di Dottorato sull’espansione dell’Universo e il ruolo del tempo, dedicandosi all’affascinante campo dell’Astrofisica e della Cosmologia.
È sempre a Cambridge che scoprì, a soli 21 anni, che una malattia degenerativa presto gli avrebbe impedito ogni tipo di movimento, costringendolo su una sedia a rotelle. Nonostante una funesta diagnosi iniziale (due anni di vita, al massimo), in realtà il decorso della malattia fu molto più lento, permettendogli di vivere altri 55 anni. E proprio l’ineluttabile malattia è stato uno dei tratti distintivi della sua vita; ma Hawking ha sempre fatto della sua disabilità una condizione accessoria più che un punto di debolezza, combattendo strenuamente contro di essa e cercando fieramente di realizzare tutti i suoi sogni, godendo appieno delle potenzialità che la vita offre:
Concentratevi sulle cose che la vostra malattia non intacca, e non rimpiangete quelle con cui essa interferisce. Non siate disabili nello spirito così come lo siete nel corpo
Infine, è sempre a Cambridge che ricoprì per trent’anni la cattedra Lucasiana di matematica che fu nientemeno che di Isaac Newton, trecento anni prima, in una sorta di continuità dalle leggi della gravità fino alle leggi dell’Universo in espansione. Continuità spirituale che lo lega anche a Galileo Galilei, morto nello stesso giorno della sua nascita (l’8 gennaio), e nuovamente ad Albert Einstein, nato nello stesso giorno della sua morte (il 14 marzo).
Certamente il fascino delle domande sul significato del tempo e sul fato dell’Universo ha contribuito ad accrescere la fama di Hawking; ma sono le risposte da lucido visionario che lui ha fornito ad averlo reso celebre, capace di proclamare con fermezza e convinzione le proprie idee. Ad esempio, l’ipotesi che l’Universo così come lo conosciamo abbia sì un inizio – il Big Bang –, ma che prima di esso ci fosse una sorta di stato senza confini, in cui le nozioni stesse di spazio e tempo non sono più definite.
Rende molto bene l’idea pensare al Polo Nord: non si può andare più a nord di esso, restando sulla superficie terrestre; ma questo non perché ci sia una barriera di qualche tipo, semplicemente perché tutte le possibili strade per arrivarci vi si incrociano e si mischiano l’una nell’altra. È in questo senso che la concezione di direzione temporale prima del Big Bang perde significato.
Non bisogna però confondere queste idee, lentamente maturate nel corso della carriera di Hawking, con la possibilità di un viaggio indietro nel tempo, a cui egli non ha mai creduto. Con l’umorismo che l’ha sempre contraddistinto, una volta ha voluto “dimostrare” l’impossibilità di tale evenienza organizzando un party e spedendo gli inviti solo dopo che si era concluso. Poiché nessuno vi si era presentato, era quindi dimostrata l’impossibilità di viaggiare nel tempo.
Ovviamente si trattò di un gioco, così come le sue numerose scommesse con altri eminenti fisici. Quella più famosa riguardò la scoperta del bosone di Higgs, contro cui scommise 100 dollari. Più tardi, quando nel 2012 la particella fu finalmente rivelata nei laboratori del CERN di Ginevra, egli ammise candidamente “Sembra proprio che io abbia perso 100 dollari”. Come disse il fisico e amico John Preskill, Hawking “è senza dubbio un ottimo scienziato, ma un pessimo scommettitore”, come dimostra un’altra scommessa – persa stavolta contro Kip Thorne, premio Nobel nel 2017 per la rilevazione delle onde gravitazionali - riguardo alla possibilità che la sorgente spaziale di radiazioni Cygnus X-1 fosse effettivamente un buco nero, il primo in assoluto ad essere osservato.
Ai buchi neri è indubbiamente legata l’eredità scientifica più importante di Hawking: l’ipotesi che essi non siano poi così “neri”. Secondo la Relatività Generale di Einstein, infatti, i buchi neri sono singolarità spazio-temporali dal cui orizzonte degli eventi nulla può sfuggire, nemmeno la luce. Secondo Hawking, invece, alcune coppie di particelle-antiparticelle potrebbero essere create al limitare dell’orizzonte degli eventi per effetti quantistici, e l’allontanamento della particella (ad energia positiva) dall’orizzonte degli eventi avverrebbe a spese del buco nero, che assorbendo l’antiparticella restante (ad energia negativa) subirebbe quindi una perdita di massa-energia. Il protrarsi di questa “fuga” di particelle, oggi nota come radiazione di Hawking, porterebbe quindi all’evaporazione del buco nero stesso. Sebbene tale teoria mostri alcune incompatibilità con la teoria quantistica, a seconda del contenuto di informazione sulla storia dell’Universo che tali particelle possiedono, sembra largamente accettata e parzialmente verificata in sistemi quantistici per certi aspetti analoghi ai buchi neri.
Inoltre, il concetto di radiazione di Hawking è intimamente connesso all’idea stessa che si ha dello scorrere del tempo. La sua teorizzazione, infatti, deriva dall’applicazione delle leggi della termodinamica ai buchi neri. Il tempo scorre sempre nella direzione in cui l’entropia dell’Universo (in sostanza, una misura del suo disordine) cresce, e per i buchi neri questo significa che il loro orizzonte degli eventi non può mai restringersi. D’altro canto, l’indefinito aumento dell’entropia dei buchi neri ne implica l’emissione di radiazione, inconsistentemente con la teoria di Einstein. Il colpo di genio di Hawking, che risolse questo paradosso, fu proprio supporre che la radiazione emessa avesse una controparte, fatta di antiparticelle, che pian piano veniva assorbita dal buco nero durante la sua espansione e che ne causava l’evaporazione. Per la prima volta, la scala dell’infinitamente piccolo (la teoria quantistica) e la scala dell’infinitamente grande (la Relatività Generale) venivano accostate in maniera compatibile – ma ancora parziale – nella stessa cornice teorica.
Se da un lato la figura di Stephen Hawking può essere considerata un esempio di determinazione (o persino ostinazione, come dichiarò la moglie Jane) nel perseguire i propri obiettivi, è decisamente complementare (e forse necessaria) la sua indole scherzosa e quasi insolente, con quel sorriso che sembra non prendere sul serio nulla e nessuno. Non è un caso che uno scienziato di tale caratura sia comparso in cartoni animati come i Simpson e Futurama, e persino in carne ed ossa in film (Star Trek) e sit-com (The Big Bang Theory), oltre che in svariati spot televisivi.
La sua presenza nella cultura “ordinaria” ovviamente non si limita a ciò. È stata instancabile la sua dedizione alla divulgazione scientifica, come autore di svariati libri e presentatore di numerosi documentari TV. Sembra incredibile che un libro che parla di astrofisica, Dal Big Bang ai buchi neri. Breve storia del tempo, possa essere stato tradotto in 35 lingue e che abbia potuto vendere oltre 10 milioni di copie. Merito, certamente, della sua straordinaria capacità di far vedere alla gente ciò di cui parla, di far appassionare le persone e farle sognare. Solo un visionario come lui ci sarebbe potuto riuscire, e tutto ciò senza l’utilizzo di nemmeno una formula matematica. Anzi, una sola: quell’E=mc2 che ancora una volta ci riporta ad Einstein.
Ad un certo punto, fu inevitabile per Hawking “scontrarsi” con Dio ed interrogarsi sulla sua esistenza, essendo alla ricerca di “un’unica, semplice equazione per spiegare tutto”, la cui scoperta avrebbe evidentemente lasciato poco spazio ad una Volontà Suprema. Si dichiarò più volte ateo, sostenendo che la Natura possa essere descritta in termini di leggi scientifiche e che non ci sia nessun motivo per supporre l’esistenza di entità superiori. D’altra parte, dichiarò anche che “sarebbe noioso essere Dio”, se esistesse, perché non potremmo godere del piacere della scoperta.
L’immagine più significativa di Hawking, che in un certo senso racchiude il suo messaggio a tutti noi e che può essere considerata come la sua eredità morale, è senza dubbio quella in cui fluttua a gravità zero nella navicella Virgin Galactic di Richard Branson, ormai ad uno stato molto avanzato della malattia, e tuttavia sorridendo come un bambino a cui sia stato regalato un nuovo giocattolo:
Ricordatevi di guardare le stelle e non i vostri piedi. Per quanto difficile possa essere la vita, c’è sempre qualcosa che è possibile fare, e in cui si può riuscire.
Cosimo Lupo è Dottore di ricerca in Fisica teorica all’École Normale di Parigi. È appassionato di viaggi, libri, cucina e nuove tecnologie.