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«L’arome secco sè» di Lorenzo Baglioni: il miracolo della definizione mancata

illustrazione di Simona Bramucci
parole di Matteo Sarlo

Daccordo le canzoni didattiche (esiste la categoria youtube, perciò insindacabile). D’accordo il congiuntivo, Sanremo, lui che non è il figlio di Claudio. Ma quel che più colpisce di Lorenzo Baglioni è quello che potremmo chiamare, con una etichetta ma ogni tanto ci vuole: falso pedagogismo. Già perché il cantante, attore, professore di superiori toscano ha capito una cosa precisa: non si tratta di imparare divertendosi – un falso mito degli adulti, sia chiaro. Si tratta di creare una strutturazione narrativa a contenuti vissuti altrimenti come astrazioni (matematici con Logaritmi; linguistici con Il congiuntivo o L’apostrofo; chimici con La classificazione dei silicati).

Si tratta di prendere degli oggetti e metterli dentro una scatola. Presente quella degli americani, you are fired, tutti che guardano il tipo mentre attraversa per l’ultima volta la stanza? Quella. Perché come quella scatola improvvisamente raccoglie, orienta, vettorializza sedimenti accumulati nel tempo, così Baglioni inquadra le leggi della termodinamica o la perifrastica passiva, le ossidoriduzioni o la legge di Keplero all’interno di un contesto narrativo che le collega, che te le fa vivere come un’esperienza e – corollario – le riqualifica.

Per esempio? Per esempio L’arome secco sè, singolo uscito il 1 marzo 2019 in collaborazione con AID (Associazione Italiana Dislessia). C’è però una differenza. Mentre fino a Il congiuntivo (e in generale a tutto l’album d’esordio Bella, prof!) la cornice narrativa si strutturava nello status del contesto d’orientamento, della mappa, in L’arome secco sè è essa stessa il contenuto del pezzo. Meno insegnamento, più storia. La scommessa? L’arome secco sè funzionerà per Baglioni come La verità ha funzionato per Brunori Sas. Sarà, cioè, il pezzo attraverso il quale 1. Consoliderà il buon album d’esordio e 2. troverà la quadratura tra musica, testo, intenzioni. Perché dietro l’apparenza di un pezzo leggero, ascoltabile, anche un po’ buonista che gioca su sentimenti semplici, L’arome secco sè trascende immediatamente la (sola) ascoltabilità e leggerezza riuscendo ad essere, al contempo, semplice e profondissimo.

Argomento della narrazione: l’amore tra i due compagni di classe Marco e Alice. Hanno dodici anni e frequentano la stessa classe. Il racconto è in prima, dal punto di vista di lui.
Oggetto del testo: L’impotenza del linguaggio scritto come unica referenzialità del mondo.

Il linguaggio che esclude
Prima strofa: la presentazione

Ciao, mi chiamo Marco, ho 12 anni e mezzo e sono dislessico
Per me leggere un libro è più difficile che andare a nuoto in Messico
Mi piace molto Alice Lotti
In classe mia piace un po’ a tutti
E lei…
Mezz’ora fa…

Nella prima strofa Marco si presenta. La prima cosa che fa, come da buona tradizione letteraria (regola base: non dimostrarti mai meglio di quello che sei) è mettere in chiaro la propria debolezza. La seconda, è dichiarare a se stesso il proprio amore (con ogni probabilità il primo) per Alice Lotti. Messa giù in questo contesto è chiaro che è quel tipo d’amore vissuto personalmente, mai verbalizzato, conosciuto soltanto all’interno del recinto del proprio io. E infatti la terza asserzione è: in classe piace a tutti. Quindi uno come lui, uno cioè meno degli altri, non può avere speranze. Poi sullo scadere della strofa accade l’evento dinamico che innesca la narrazione.

E lei…
Mezz’ora fa…

Seconda strofa: l’evento dinamico

Mi ha messo un biglietto nello zaino
L’ho letto a ricreazione,
E sarà’ per l’emozione
E un po’ per la dislessia
Che nel biglietto, a colpo d’occhio, ho letto questa cosa qua:

Poi accade l’inatteso. Durante la ricreazione Alice Lotti, la ragazza più carina della classe (jeans a vita e alta maglione corto davanti), la ragazza che ama e che non può avere, la tipa che funzionerebbe per lui (anche) come criterio normalizzante (la ragazza in classe, i dodici anni vissuti come ogni altro), ecco che proprio Alice Lotti infila un biglietto nel suo zaino.

Cortocircuito: se Marco vuole conoscere il contenuto del biglietto, se vuole sapere cosa può avergli scritto Alice Lotti, se vuole percorrere i primi passi di un cammino che mai si sarebbe aspettato, deve fare l’unica cosa che non sa fare. La cosa che gli riesce peggio di tutte: leggere.

Il linguaggio come caduta della referenzialità
Il ritornello: grafema contro significato

Marco io l’arome
non so secco sè
Ma te si devo
Davo in consufione e setno che
Il cuore bitte e fa:
Po ro po, po ro po po po
Po ro po, po ro po po po
Po ro po, po ro po po po
L’arome secco sè”

Ecco, tutto il pezzo di Lorenzo Baglioni è imperniato su uno slittamento semantico: quello che c’è scritto non è quello viene letto. Ma questo non impedisce l’affiorare in Marco di un magma sentimentale che prescinde dalla comprensione del testo. In linguistica si direbbe dunque che il grafema ha vinto contro il significato. La trasmissione del messaggio è avvenuta lo stesso. O forse proprio per questo. E lo porta dritto dritto alla terza strofa, dedicata alla fenomenologia del suo stato emotivo.

Terza strofa: la definizione mancata

Non so se posso dire che ho capito proprio bene cosa dice
Mi tremano le mani e sento che mi è andata quasi via la voce…
Ma questo è un classico per me che quando…
Leggo ad alta voce o piano
Non capisco e sembro strano e lei
Neanche lo sa…
L’ho letto in fretta e le parole sue mi son sembrate queste qua:

Marco lo sa bene, non può dire di aver capito per filo e per segno il contenuto del biglietto ma tutto d’un tratto gli tremano le mani e gli va via la voce. In altri termini si è compiuto il vero miracolo della definizione mancata, dimostrando tutto l’universo che separa senso e significato della narrazione: si può avere significato ma non senso, senso ma non significato. Per dirla con il Derrida di La voce e il fenomeno, implode la fede nel dizionario come archivio: la verità della cosa non è nella sua definizione.

Come lo sa bene anche Alice che subito confessa (nella versione “reale” del biglietto):

Io l’amore non so che cos’è
Ma se ti vedo
Vado in confusione e sento che
Il cuore batte e fa..

La prima cosa che si preoccupa di chiarire? Che non saprebbe dire cosa sia l’amore. Ma non importa, perché ne conosce gli effetti (ma quando ti vedo il cuore batte forte). Il modello è lo stesso:

  1. Caduta dello statuto primario della definizione
  2. Fenomenologia del suo stato emotivo

Il circolo del ritorno
Quarta strofa: inciampo e spazio creativo

 Che poi l’arome è l’amore
Adesso ho capito, era solo un errore
È che quando leggo mi perdo, anche spesso,
è vero confesso, signor direttore!
E inciampo e invento parole nuove
In consufione come il T9
E piove ma sorrido perché Alice a ricreazione mi ha lasciato un biglietto
E c’è scritto, leggo:

Quella che alla prima strofa era confessata come una debolezza, quella che per il resto del mondo si configura come un inciampo – Ludwig Wittgenstein considera proprio l’inciampo come il momento antecedente alla riflessione perché interrompe il piatto scorrere del significato –  si trasforma nella possibilità che apre uno spazio creativo: inciampo e invento parole nuove.

Che poi l’arome è l’amore
Adesso ho capito
Era solo un errore

Il limite? Restringere tutto lo spazio del reale nella propria interiorità. Creazione di mondo sì, ma soltanto dentro la cittadella del proprio sé.

Io l’amore non so che cos’è
Ma se ti vedo
Vado in confusione e sento che
Il cuore batte e fa..
Po ro po, po ro po po po
Po ro po, po ro po po po
Po ro po, po ro po po po
L’arome secco sè.

In questa discrepanza tra il ritornello reale e il ritornello letto da Marco si apre lo spazio di significatività dell’intero racconto. In questa sfasatura sta il cuore della narrazione, di Baglioni e in generale per metonimia di ogni narrazione. Perché ogni storia è la storia di un io che è sfasato col resto del mondo. Da Hugo von Hofmannsthal a Woody Allen, da Kafka a Gogol, il carburante di ogni storia è in questo disallineamento tra un io “patologico” (in senso lato: qualsiasi eccedenza in alto o in basso rispetto a tutti gli altri) e il mondo che non comprende la patologia dell’io

Il rovesciamento

Poi, plot twist: Marco legge l’altro messaggio, il messaggio reale, e allora non rimane che una cosa, correre da Alice. L’avrebbe fatto subito se non fosse stato dislessico? Probabilmente sì, ma senza quella conquista che solo la comprensione dilazionata sa dare, senza quel grado di significatività che transita attraverso l’aver frainteso, aver perso la rotta o non averci mai creduto, l’aver costruito un universo di possibilità che soltanto poi si scoprono compatibili con la realtà.

E allora di corsa, lo zaino che batte sulla felpa. Arriva e apre il cancelletto di casa, bussa alla porta (nemmeno citofona), Alice esce fuori e si abbracciano mentre, soltanto a questo punto, Baglioni ripete l’ultimo verso:

L’arome secco sè

Era all’interno del contesto “arome” che tutto è iniziato. E una volta che si abbracciano, dopo aver rimesso in sesto il linguaggio, l’amore ridiventa arome. Così il problema della definizione viene inglobato in una nuova risemantizzazione. La loro storia sarà unica e si spenderà in un contesto linguistico-sentimentale del tutto originale. Niente amore, solo arome.

*Tutte le immagini sono tratte dal trailer ufficiale reperibile a questo link

Matteo Sarlo è nato a Roma nel 1989, dove vive e lavora come Editor.
Nel 2018 ha pubblicato Pro und Contra. Anders e Kafka, una riflessione sulla filosofia di Günther Anders interprete di Franz Kafka.
Ha scritto per diverse riviste filosofiche, di critica cinematografica, viaggi, cronaca e narrativa urbana.

Matteo:
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