illustrazione e parole di Matteo Sarlo
Probabilmente il capolavoro di Matteo Garrone, Dogman è puro cinema e la sua forma/sguardo è quella della maschera.
Tra il Racconto dei racconti e Pinocchio, Dogman è una schwarze Fabeln con una precisa estetica cinematografica. L’estetica cinematografica di Garrone è talmente forte, e tecnicamente perfetta (come forse non lo è mai stata prima), da costruire una visione di supernichilismo, cioè un nichilismo di grado zero, dove l’etica viene assorbita dalla pulsione.
Come costruisce Garrone l’estetica di Dogman? Chiederselo equivale a chiedersi qual è la sua figura cinematografica, cioè la sua forma/sguardo. E per Dogman è chiarissimo, è la prospettiva della maschera. Ma nel senso di Marcello, la dolcezza di Charlot, e quindi la maschera come metafora etimologica della persona, del cinema muto? No. O meglio, è indubbio che Marcello possieda la dolcezza dei cinema muto, che quindi sia un nuovo Charlot. Come altrettanto indubbio è che la polarità del film si imperni su due diverse declinazioni dell’animalità, quella violenta di Simone e quella fedele di Marcello. Ma queste sono considerazioni sul plot, che varrebbero tanto quanto se questa storia fosse stata un romanzo. Si tratta di qualcosa di meno teoretico. La maschera è la prospettiva dello sguardo cinematografica di Dogman nel senso proprio della maschera col boccaglio, la maschera da immersione, la maschera da sub.
Edoardo Pesce nel ruolo di Simone
Marcello Fonte nel ruolo di Marcello
Che c’entra il sub? C’entra perché Garrone raccontandoti la storia del Canaro della Magliana – un caso del 1988 –, scegliendo saggiamente di svincolarsi sin da subito dalla resa fedele del fatto di cronaca, sceglie di non raccontarti nulla della sua vita privata, dei suoi hobby, dei suoi gusti musicali, niente di niente tranne una cosa: gli piace fare sub con la figlia.
Il fatto possiede di certo una natura eminentemente metaforica: abitando in una sorta di far west da far apparire i paesaggi di Chris Offutt qualcosa come la 5th Avenue di Manhattan, il pensiero di immergerti e scoprire un mondo fatto di coralli, un mondo sommerso, ma basterebbe “un altro mondo”, non è così male. Ma il sub contiene un altro indizio fondamentale per la comprensione di Dogman: per fare il sub, per vedere il mondo sommerso, il mondo che sta sotto, qualcosa che potremmo chiamare l’Underworld, lo devi vedere mettendoti una maschera. E la maschera, de facto, mette una cornice al mondo.
Il fatto è che Garrone ti fa guardare la storia inquadrando ogni cosa, dal campo aperto ai primi piani, con un grandangolo (qualcosa come un 35 o un 24). Il merito è di certo anche di Nicolaj Brüel, che cura una fotografia di rara bellezza. Il che vuol dire che su un primo piano quello che vedi non è soltanto il viso ma tanta altra realtà. Stando molto vicino al soggetto, il campo della ripresa è un rettangolo con poca altezza e tanta base. In altre parole parecchio ai lati e taglio sopra e sotto. Ecco, questa è esattamente la visione della maschera.
Questo vuol dire una cosa precisa: Garrone vuole che vediamo il film indossando la maschera da sub, che taglia la realtà sopra e sotto.
Cosa stai facendo allora guardando Dogman, ti stai immergendo in un mondo che si trova letteralmente “sotto”. Poco più di un’ora e mezza, alla ricerca del mondo delle meraviglie.
La maschera è la forma/sguardo del Dogman di Garrone così come il corridoio lo è per l’Andreotti di Sorrentino (leggi Da Sorrentino a Buñuel. 10 domande sul concetto di autori oggi), il monolite per l’Odissea di Kubrick e la stanza rossa per il Twn Peaks di Lynch (leggi Autori del Contemporaneo: Kubrick/Lynch)
Attraverso la prospettiva della maschera diventa chiara la metafora e l’episodio raggiunge l’universale. Impari allora la lezione nichilista che Marcello ha imparato a ben più caro prezzo, il mondo dei coralli, il mondo nascosto, il “fondale/fondamento”, non contiene nessun tesoro, non salva: più vai giù, più gratti la scorza, più scopri il male.
*Tutte le immagini di Dogman sono tratte dal trailer ufficiale reperibile a questo link
Matteo Sarlo ha scritto per diverse riviste filosofiche, di critica cinematografica, viaggi, cronaca e narrativa urbana. Nel 2018 ha pubblicato Pro und Contra. Anders e Kafka.