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Alain de Botton, Slavoj Žižek, Michela Marzano. Tre modelli di democratizzazione del Sapere

illustrazione di Matteo Sarlo
parole di Nicole Paglia
Un filosofo genio della comunicazione, uno politicamente scorretto e una politicamente corretta costituiscono tre noti modelli di democratizzazione del sapere. Ma al fondo la domanda rimane, ed è di stampo socratico: dovendo arrivare alla molteplicità, l’unità del sapere concede parti di se stessa o la sua interezza?

Quello su Platone supera le due milioni di visualizzazioni. Kant si attesta sul milione e duecentomila. Meno Martin Heidegger, che si ferma alla cifra, in ogni caso notevole, di ottocentoventinovemila. Si tratta di video caricati dal canale YouTube di School Of Life, quella che potremmo definire come “la contro-università” fondata da Alain de Botton nel 2008. Già, perché l’intento è quello di offrire agli studenti non un sapere astratto ma vere e proprie lezioni di vita. Internazionale ha raccolto (guarda qui) delle clip in cui il filosofo spiega come rimanere amici degli ex, come superare un amore non corrisposto, e persino perché la solitudine ci rende persone migliori.

Giusto o no, una cosa è evidente: nell’era contemporanea, della comunicazione digitale e dell’informazione di massa, il sapere ha assunto vesti democratiche. Se prima avvicinarsi alla conoscenza implicava lunghi pomeriggi spesi nelle sale impolverate delle biblioteche universitarie, oggi la situazione assume tratti meno leopardiani. In fondo, con pochi click abbiamo accesso alla maggior parte dello scibile umano (non fosse altro che con Amazon prime il nostro libro ci viene consegnato direttamente a casa nel giro di 12 ore).

Già Gutenberg e l’invenzione della stampa a caratteri mobili avevano rappresentato in questo processo di democratizzazione del sapere una tappa importante; da quel momento, tutti o quasi, avrebbero potuto entrare in possesso di un libro stampato e del sapere in esso contenuto.
Oggi, come tutti sappiamo, il percorso verso il raggiungimento della conoscenza è ancora più facilitato. Basta un click e siamo nell’iperuranio.
Tuttavia, se è vero che le informazioni sono oggi trasmissibili con quella facilità che è ontologicamente intrinseca alla pubblicazione di un post su Facebook, siamo certi che lo stesso discorso sia applicabile al sapere? Quest’ultimo, è veramente democratico?

Per Eraclito la situazione era chiara; la conoscenza del Lógos universale che pervade il reale, era riservata ai “pochi” dotti in grado di comprenderne le leggi razionali, i “più” invece vivevano addormentati nell’ignoranza e, incapaci di ascoltare l’unico vero principio razionale, credevano possibili varie e molteplici forme di sapienza.
Per Eraclito prima, così come per Platone poi, la verità era accessibile dunque solo a pochi sapienti, che avevano il privilegio, nonché le doti intellettuali, di accedere alla conoscenza del reale, mentre la massa dei più era destinata ad una vita di cieca ignoranza, vittima di false credenze e frammentarie illusioni.
In ogni buon manuale scolastico di filosofia si legge che quella eraclitea è una forma elitaria di sapere, in cui la verità anziché essere considerata come un bene comune, destinato a tutti, è un privilegio riservato a pochi dotti sapienti, in grado di elevarsi al di sopra dell’ignoranza popolare.

In quest’ottica, è evidente che la scala che conduce l’elevazione della coscienza al sapere non è aperta a tutti. Boezio, nella sua Consolatio Philosophiae rappresentava la sapienza come una donna dal volto venerabile che porta con sé un libro e uno scettro e si erge distaccata e autorevole dal terreno della prassi verso il cielo della theoria. Anche in questa rappresentazione, di stampo chiaramente neoplatonico, la conoscenza si configura come qualità divina, non certo umana. Tuttavia bisogna specificare che la teologia cristiana inserisce la conoscenza e la sapienza tra gli attributi comunicabili di Dio, cioè tra quelle caratteristiche che Dio ha trasmesso agli uomini, anche se in maniera limitata ed imperfetta. Il che, comunque, dà buone speranze.
Mettendo da parte ora le categorie teologiche, la domanda rimane la seguente: il sapere e la conoscenza sono democratici? O per meglio dire, posso essere pop?

Il termine popfilosofia nasce negli anni settanta con L’Anti-Edipo di Gilles Deleuze. Da una parte abbiamo il pop che altro non è che la contrazione di popular o popular culture, dall’altra la filosofia, l’amore del sapere. Il tentativo di Deleuze consisteva nel legare tra loro questi due termini, per produrre un sapere filosofico che fosse pop, cioè non riservato agli accademici, ma che replicasse la stessa operazione di massificazione che aveva compiuto pochi anni prima la musica dei Beatles. Nessun teoreticismo tipico dei filosofi, ma soltanto il desiderio di arrivare alle persone, ai profani del settore e persino a chi, di Platone, non aveva mai sentito parlare.
Eppure si sa, se da una parte la filosofia, in quanto sapere sommo, porta con sé quell’elemento di techne proprio di ogni sapere particolare, dall’altra, non potendo essere ridotta a nessuno di essi (esattamente come il tutto non è riducibile alla parte), astrae da ogni tentativo di tecnicizzazione e identificazione; con il risultato che basta scrivere di filosofia per essere definito filosofo.

Da qui il passo alla proliferazione di siti, blog, pagine Facebook pseudofilosofiche, nei quali le citazioni rimbalzano come palle di gomma è brevissimo. Per non parlare dei libri, di più – o forse meno – autorevoli filosofi, che utilizzano gli aforismi lacaniani come fossero i bigliettini dei Baci Perugina.
Siamo certi che la filosofia può essere popolare, come il calcio o la cucina cinese? E che l’Erignis heideggeriano o l’Aufhebung può essere spiegato senza ricorrere ad un linguaggio tecnico e a chi non possiede precise conoscenze filosofiche?
Spinoza, così come Cartesio, affermavano l’autoevidenza della facoltà di pensiero nell’uomo, il che potrebbe configurasi con l’affermazione di Gramsci, contenuta nei Quaderni, secondo cui “tutti gli uomini sono filosofi”.
Eppure qualcosa evidentemente stride a tale affermazione perché la “chiacchiera filosofica” – che ben è diversa dal dibattito filosofico – esiste, ed è forse, nel nostro panorama attuale, anche la più diffusa.

Occorerebbe allora distinguere una popfilosofia da una filosofia del pop, che in fondo è un po’ come distinguere Michela Marzano da Slavoj Žižek.
Se da una parte Michela Marzano, una che ha studiato filosofia alla Normale di Pisa ed è docente all’Université de Paris V: René Descartes, procede nei suoi testi secondo un susseguirsi di citazioni di autori che vengono accostati in modo apparentmente illogico, senza alcun tipo di relazione causale stringente, e di certo privati del loro contesto di riferimento – un po’ come la frase nietzschiana “bisogna avere un caos dentro di sé per generare una stella danzante” che ritroviamo postata sulla maggior parte delle bacheche di Facebook -, dall’altra Slavoj Žižek esibisce una filosofia con un alto tasso di visibilità, quasi cinematografica, che con il suo stile, definito da molti liquido, riesce a saltare da Lynch ad Heidegger, da Hitchcock a Hegel, modellandosi sui temi e sui problemi della contemporaneità politica e sociale. Anche in Žižek si passa da un testo all’altro, e da un autore all’altro, ma la differenza è che ogni citazione o riferimento non è poggiato lì, decontestualizzato e autoreferenziale, ma utilizzato come strumento per rafforzare l’argomentazione, sempre mantenendo alta la fruibilità. La cifra pop della sua opera consiste nello sguardo scheggiato, per dirla con Lars Von Trier, che egli possiede; nella sua capacità di leggere il reale contemporaneo accostando categorie lacaniane ad elementi appartenenti alla cultura pop (al cinema, alla musica, alla letteratura, alla politica e attualità) per far emergere i nessi tra le strutture simboliche, le forme dell’Immaginario e l’irrapresentabile struttura del reale. Qui Lacan non è utilizzato come un frase da Tre metri sopra il cielo, da cui deriva quel utilizzo pop, o se vogliamo commerciale, della filosofia, ma la dottrina lacaniana è applicata ad ogni argomento contemporaneo e ad ogni fenomeno massificato, determinando l’inconfondibile cifra stilistica di Žižek.

Se dunque la questione è se il sapere sia democratico o meno, la risposta non può che essere duplice:
è democratico nella misura in cui si delinei come una filosofia del pop, in cui ogni fenomeno del reale contemporaneo può e deve essere analizzato e decostruito attraverso categorie filosofiche, che devono garantirne la fruibilità;
non è democratico nella misura in cui Gramsci aveva torto e non tutti gli uomini sono filosofi poiché la filosofia, come ogni sapere che abbia in sé un elemento tecnico, ha la necessità di appellarsi ad un criterio di competenza.


Nicole Paglia è laureata in Filosofia e ha scritto su riviste di filosofia e attualità. Studia fenomenologia e cristianesimo e sta per pubblicare un saggio intitolato «L’altro volto del Mediterraneo», sulla necessità di un ripensamento cristiano dell’idea di Europa.

Matteo:
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