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POPULISMO: LO STILE DELLO “STILE DI VITA”
17/04/2017|L'ANALISI

POPULISMO: LO STILE DELLO “STILE DI VITA”

POPULISMO: LO STILE DELLO “STILE DI VITA”
illustrazione di Matteo Sarlo
parole di Flavio De Bernardinis

 

Qual è la differenza tra cinema e televisione? Intendiamoci, la differenza più evidente, marcata, inamovibile. La differenza storica. Eccola:

A – Il cinema inscrive lo spettatore in una traiettoria di fruizione che va dalla poltrona in sala fino allo schermo. Ovvero, se vediamo l’eroe che combatte coraggiosamente contro i cattivi, noi vogliamo entrare nello schermo, lottare e stare al suo fianco.
B – La televisione afferra tutti, capi di Stato, VIP, comandanti militari, divi dello spettacolo, magnati della finanza, leader politici, e li conduce a casa nostra. Rispetto al cinema, la traiettoria è inversa: dal teleschermo fino al divano del salotto di casa. E allora, invece di agire, parliamo Se l’eroe accede al nostro appartamento, vogliamo conversare con lui, e dirgli davvero quello che crediamo di pensare.

Che cosa è dunque storicamente avvenuto, nel passaggio dal cinematografo alla TV come medium di riferimento? Una colossale operazione di democrazia simulata. L’uomo comune e il leader politico abitano la stessa dimensione spazio-temporale. Le distanze vengono ridotte, se non abolite. L’uomo comune può agire senza agire. Se ne sta in casa, seduto sul divano, e i VIP della Terra chiedono il permesso di entrare. L’anchorman di turno agisce da mediatore della cerimonia di ospitalità. L’uomo comune sta fermo e riposato: i VIP della Terra, e il loro “icono-pompo”, ossia colui che provvede a far sì che le icone dei potenti entrino realmente nel salotto dell’uomo comune, provvedono a una talking-action su temi i più vari. l’uomo comune si fa un’opinione, e dà i voti. E’ sottinteso che con la parola “potenti” si intendano, per esempio, sia i capi di stato, sia i cuochi.
Su questo schema di base, è possibile ovviamente attivare tutte le varianti possibili della procedura di simulazione. Ne elenchiamo sette perché il numero è un numero che ci piace:

1 – La simulazione del medium moderno del giornale (Edicola Fiore).
2 – La simulazione del medium postmoderno della rete (Gazebo).
3 – La simulazione del pollice verso, tematizzata nella simulazione del medium del circo (da X-Factor a Ballando sotto le stelle).
4 – La simulazione dell’estrazione a sorte, tematizzata nella simulazione del medium della fiera (Affari tuoi).
5 – La simulazione dell’opinione come giudizio di valore, tematizzata nella simulazione del medium conference-call (Che tempo che fa)
6 – La simulazione del giudizio di valore come opinione, tematizzata nella simulazione del medium esame di Stato (in 1/2 ora)
7 – La simulazione della simulazione, ossia il puro e semplice medium TV (telegiornale e talk-show).

Tutto ciò produce una gigantesca operazione di democrazia simulata, in cui l’uomo comune non può e non deve fare niente. Tutti gli uomini e le donne, che contano, entrano nel suo salotto, e si offrono con le proprie opinioni alla valutazione immediata, e praticamente nulla, dell’uomo comune.
I sette punti precedentemente menzionati descrivono evidentemente la televisione come un iper-medium, capace di simulare molti altri media, rete compresa, facendo implodere per ciascuno di questi, per ciascun medium, ogni possibilità di uno “specifico” qualsiasi.
Se nel cinema, allo spettatore sorge il desiderio di entrare nello schermo e lottare al fianco dell’eroe (dove la dimensione immaginaria dell’esperienza e immediatamente dichiarata), con la televisione, invece, la lotta viene servita pronta in casa (dove la dimensione realistica dell’esperienza è immediatamente simulata).
La deriva populistica della Tv, la pratica della simulazione, è stata avviata dalla cultura berlusconiana, ed ha coinvolto ben presto quasi tutta la produzione televisiva nel suo complesso.
La capacità linguistico-mimetica del medium televisivo, capacità che fu subito individuata da Pasolini, ha inoltre avviato la grande questione antropologica dello “stile di vita”. Che qui ci interessa come punto fondante il populismo contemporaneo.
Mentre il cinema fa venire voglia di stare con l’eroe, combattere al suo fianco, la Tv fa venire voglia di stare come l’eroe, essere esattamente al suo stesso modo. Capacità mimetica del linguaggio Tv. Populismo. Io sono come l’eroe. Uno vale uno.
E’ logico: se l’eroe dal teleschermo entra a casa nostra, il desiderio di stare al suo fianco viene immediatamente soddisfatto. Anzi, è l’eroe stesso che si posiziona vicino, accanto, assieme e con noi. Se l’eroe entra in casa nostra, allora noi siamo persino più importanti di lui. Noi, per come siamo e come viviamo. Per il nostro stile di vita. Certo, noi imitiamo gli stili di vita che vediamo in televisione, ma solo perché quegli stili di vita, e i rispettivi eroi, sono venuti a trovarci, e ci hanno detto: “Imitaci, perché solo imitandoci, sarai fedele a te stesso, che sei più importante di noi: e lo sei sul serio, perché noi, eroi della Tv, a differenza di quelli del cinema, senza di te, noi non esisteremmo”.
Gli eroi del cinema, infatti, esistono comunque, e non hanno bisogno della nostra opinione. Magari del nostro affetto sì, che tuttavia non siamo obbligati a concedere.
Gli eroi della Tv, invece, esistono solo se noi li accogliamo in casa nostra. Perché, in quanto eroi, non esistono nella realtà. Né capi di stato, né cuochi, nella realtà, sono eroi. E hanno bisogno quindi della nostra opinione fondante il loro eroismo. Tanto che, grazie alla Tv, siamo finalmente tutti opinionisti. Uno vale uno. Populismo contemporaneo.

Terroristi e terrori.

Discorso complicato? Oppure, fin troppo noto? Facciamo un esempio. Esempio tratto dalla variante numero sette dei già descritti procedimenti di simulazione televisiva, ossia quella menzionata come “telegiornale” e “talk-show”.
TG1, del giorno 09/04/2017, ore 13,30. Servizio giornalistico dedicato a “Igor il russo”, il killer fuggiasco di Budrio.
Vengono intervistate due persone. La domanda riguarda lo stato d’animo della gente comune, che risiede nella zona interessata al caso.
Il primo a essere intervistato è un signore anziano, il quale risponde: “Sì, sono preoccupato, tanto che la sera, non ho più il coraggio di fare la mia solita passeggiata in paese”.
Il secondo intervistato è una signora, che dichiara: “Ieri abbiamo visto un uomo che somigliava alla fotografia dell’assassino. Camminava per strada. Era vestito male, aveva un lungo coltello che gli penzolava ad un fianco, calcava uno strano cappello. Ci siamo chieste, ma chi è quello? Abbiamo risposto, mah, chissà, magari sta andando a una festa mascherata”.
Entrambe le risposte sono incluse nel campo semantico descrivibile come “stile di vita”.Il signore anziano ammette esplicitamente che da quando l’assassino è nei paraggi, il suo stile di vita è cambiato, e non esce più di sera a passeggiare per il paese. La signora, quindi, dichiara che l’avvistamento di un uomo, dall’abbigliamento stravagante e inquietante insieme, viene ricompreso nell’eventualità che costui stesse andando a una festa mascherata: ovvero, che si trattasse di un caso particolare, bizzarro ma plausibile, di stile di vita.
Il fenomeno del terrorismo ha perfettamente compreso questo dispositivo della macchina antropologica chiamata “cultura occidentale”. Nella condizione di “stato d’assedio virtuale”, a cui il terrorismo costringe l’Occidente, Dopo ogni attentato, la parola d’ordine è stata sempre la stessa: bisogna difendere il nostro stile di vita.
Cosa si intende, in questi casi, per stile di vita è altrettanto chiaro. Non solo la passeggiata serale per il paese, oppure la possibilità di una festa mascherata a qualunque ora di un qualunque giorno, ma anche ristoranti, teatri, cinema, caffè, musei, party, maratone open, saune, palestre, viaggi e gite d’istruzione.
Soffermiamoci ancora un poco sulla risposta che riguarda l’uomo diretto presumibilmente a una festa mascherata. Sembrerebbe una risposta più forzata rispetto a quella del signore che si nega l’uscita serale. E invece si tratta della risposta più automatica e vera. Perché coglie, pienamente nel segno, il tratto distintivo di ciò che si dice “stile di vita”, nella macchina antropologica della cultura occidentale.
E il tratto distintivo è il seguente: la creatività.
Ogni stile di vita deve avere questa caratteristica, essere creativo. L’elenco è virtualmente infinito: lavori creativi, tempo libero creativo, amicizie creative, alimentazione creativa, cura del corpo creativa, cura della mente creativa, cultura creativa, sessualità creativa, cerimonie nuziali creative, cerimonie funebri creative…
Per il terrorismo, così, è sufficiente dispiegare sul terreno della creatività occidentale, il suo uguale e contrario: ovvero, la distruttività. Una distruttività rigorosamente distruttiva, e per nulla creativa.
Tale distruttività distruttiva è l’attentato più radicale che si possa effettuare sul bersaglio debole dell’occidente, lo stile di vita all’insegna della creatività.
I terroristi sono tali perché comunicano il terrore che non sia più possibile coltivare alcuna occupazione creativa del tempo, e in tal modo disgregare irreparabilmente ogni stile di vita. Questa, e non altro, è l’Apocalisse. Questo, non di più, è il Fondamentalismo.
La televisione caparbiamente ci prova, ma ancora non riesce a simulare una attendibile creatività del terrorismo. Ci prova con la questione dei foreign fighters, ovvero individui compresi all’interno della cultura occidentale, che hanno scelto, sciaguratamente, un altro stile di vita, il terrorismo.
Se inatti la creatività del terrorismo fosse simulata, il terrore rientrerebbe allora nello stile di vita, e potrebbe assumere la veste “ispirata” delle forme tipiche e stabilite di cupio dissolvi dell’età postmoderna. Ossia, i matricidi, gli uxoricidi, il femminicidio in generale. Tutti orrori certamente abominevoli, ma tuttavia prodotti da una ispirazione profonda.
Nel medesimo TG1 citato, durante il servizio dedicato al caso della ragazza accoltellata e uccisa dal fidanzato perché lei aveva trovato lavoro sulle navi Costa, viene intervistata una signora anziana che, in perfetta tranquillità, dice (la domanda dell’intervistatore non si sente): “Lui non voleva che lei lo lasciasse” (abbiamo seguito le edizioni successive del TG per verificare se avessimo mal interpretato, e invece no, la risposta è proprio questa).
Lui ha accoltellato lei, perché non voleva essere lasciato, significa: “Lui ha accoltellato lei, perché lei lo avrebbe costretto a cambiare stile di vita”. Atteggiamento comunque vitale, comprensibile, umano. Ha fatto quello che ha fatto, perché non voleva cambiare stile di vita.
Di nuovo, il populismo abolisce qualsiasi narrazione, a vantaggio di atti linguistici performativi puri:

– Io non posso fare la passeggiata serale.
– Costui sta andando a un festa in maschera.
– Egli non sopporta di essere lasciato.

Nessun racconto. Pura creatività in azione.


Flavio De Bernardinis è docente di Analisi del linguaggio cinematografico e Storia del cinema presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Ha curato il volume 1970-1976 della Storia del cinema italiano. Tra i suoi saggi Nanni Moretti, Robert Altman, L’immagine secondo Kubrick. È in uscita Arte cinematografica. Il ciclo storico del cinema da Argan a Scorsese.

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