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Loro 2: Miracolo e Crisi del “migliore Venditore”
22/05/2018|L'ANALISI

Loro 2: Miracolo e Crisi del “migliore Venditore”

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PAROLE DI ANDREA FERRETTI
ILLUSTRAZIONE DI MATTEO SARLO
Loro 2 riprende le tematiche di LORO 1 e le approfondisce, mettendo in primo piano Silvio e il suo rapporto con la propria maschera, il berlusconismo

Come era stato suggerito dalla citazione de l’Uomo Duplicato di Saramago nella prima parte del film, Loro è un lungo discorsosull’identità di un uomo straordinario, di cui esiste un doppio del tutto indistinguibile. Tuttavia, nel caso di Silvio, l’esistenza di questo doppio non riguarda soltanto lui, ma tutti noi. Il doppio di Silvio è infatti il berlusconismo, un fenomeno culturale e sociale che ha modellato per decenni l’identità e l’immaginario(desideri, dolori, speranze, sogni) di un popolo intero. Un popolo che si è diviso tra affermazione e negazione di questo stesso modello, tra berlusconismo ed antiberlusconismo. L’opera di svelamento di cui si incarica il film non è tanto quella del Silvio-marito/uomo sotto la maschera del Berlusconi-politico/imprenditore, ma quella del Silvio individuo sotto la maschera del fenomeno collettivo che gli deve il nome. Il problema affrontato da Sorrentino è quello del berlusconismo di Silvio, del rapporto tra creatura e creatore, tra simbolo e reale, tra universale e individuale, tra un tutto-nulla e un nulla-tutto.
Le opposizioni sono così prese nell’ambiguità tra autonomia ed eteronomia che inevitabilmente affligge l’esperienza di ogni individuo: fino a che punto siamo i creatori della nostra creatura? In altre parole: èdavvero stato il Re a fare la corte o la corte a fare il Re? Nella stessa figura di Silvio in quanto venditore e dunque uomo del marketing e della comunicazione, Sorrentino ci dà una possibile risposta al dilemma. Il costo da pagare per diventare Lui è in fondo smettere di essere Silvio.

Il Silvio-Loro: la logica del più grande venditore
Le prime due scene di Loro 2 sono dialoghi: quello tra Silvio ed Ennio Doris (interpretato dallo stesso Servillo) e quello tra Silvio ed una signora estratta a caso da un elenco telefonico (immagine della famosa “casalinga di Voghera”?) che il Nostro cercherà di convincere ad acquistare un immaginario appartamento. Silvio viene definito da Ennio “il miglior venditore che io abbia mai conosciuto nella mia vita” e dunque,per catturarne l’essenza, il tema delle scene in questione diventa esplicitamente: “cos’è un venditore?”. In diversi episodi dei duefilm emerge come la straordinarietà di Silvio, il suo segreto, la sua capacità di presa e di costruzione della realtà sia da ricercare proprio nel suo essere un venditore. La risposta di Sorrentino è che il miglior venditore è un uomo senza volto e senza identità, un doppelgänger in grado di assumere indifferentemente qualsiasi forma.
Ennio afferma che il venditore è due cose:

a) un “uomo solo”
b) un “persuasore”.

Ma da cosa deriva il suo potere di convincimento, la presa sui desideri e sui sogni del prossimo? Perché è in grado di “convincere della bontà dei suoi sogni”, di “vendere il sogno del futuro”, di far si che “i propri sogni diventino i loro”? Facile, perché in quanto venditore che persuade, i suoi sogni sono già i loro ed i sogni del futuro non sono che la rifrazione, il rilancio, l’ingrandimento di quelli preesistenti. Il venditore vende, supera le resistenze e la diffidenza del compratore in quanto non offre alcuna resistenza, non chiede alcuno sforzo, limitandosi amaterializzare, esplicitare e legittimare ciò che è già nel cuore e nell’anelito del cliente. Vendere porta con sé l’eccitazione ed il fascino della conquista e della seduzione, ma si tratta di una conquista e di una seduzione esteriori, che in fondo lasciano tutto invariato. Il venditore è colui che incarna e materializza il sogno altrui, creando un nuovo significante (l’appartamento, l’auto, il gioiello, ecc…) per un significato già dato (la ricerca del benessere materiale e simbolico). Per raggiungere il suo obiettivonon ha bisogno di incidere sugli individui: egli non agisce formando o convertendo il desiderio altrui, ma unicamente scoprendolo ed esprimendolo/legittimandolo. Un politico attinge dal comune sentire di un popolo per dirigerlo rispetto ad ideali o valori, creando una narrazione in cui si incontrino fattualità ed ideale. Al contrario un venditore non ne ha bisogno, per vendere non deve governare; la vita gli va bene già così com’è e il suo scopo è unicamente quello di rappresentarla.

Da qui arriviamo alla seconda caratteristica del venditore: la solitudine. Il venditore perfetto non ha più bisogno di ascoltare alcunché, deve solo parlare, convincere, fare in quanto già conosce la “verità”. Come dice alla signora dell’elenco telefonico: “io conosco il copione della vita, non si diventa il migliore venditore d’Italia se non si conoscono i dolori e i desideri dei clienti”. Conoscere il copione della vita significa non conoscere la vita di nessuno in particolare. Significa pensare e parlare a nessuno in quanto singolo e a tutti in quanto presi in una stessa rete di significati (dolori e desideri) comuni, ponendo l’ambito del discorso ad un livello di generalità tale per cui si può parlare a ciascuno pur parlando continuamente a tutti. Incarnando e dunque diventando il comune sentire di un popolo (i “principi” di cui parla Doris) non si ha più bisogno di ascoltare nessuno, si può “parlare in eterno”. Non si tratta di contrattare il significato con l’altro nella sua singolarità (come si potrebbe/dovrebbe fare in politica), ma di esporre all’altro qualcosa che entrambi già sanno in virtù della sua stessa banalità. È per questo che Ennio Doris è Toni Servillo come Toni Servillo è Silvio: “siamo venditori e siamo i migliori”, dunque non possiamo che essere uguali nella nostra solitudine. Sono questi i motivi per cui Berlusconi è un tutto vuoto di individualità: in questo senso si possono leggere battute come “io non mi offendo mai”, il “lo sai cosa accade quando usano la psicologia su di me? Niente”, e “lei possiede il carisma del ruscello, porta a valle freschezza e benessere e soddisfa la sete”.
In ultima istanza, l’unica cosa che il venditore forma e plasma è se stesso: egli è disposto a conformarsi senza limiti al desiderio altrui per poterlo rappresentare, impersonare e dunque conquistare. Ennio dice “dona tutto sé stesso Silvio, l’altruismo è il miglior modo per essere egoisti” e il senso ultimo di questo donare è proprio il fare sé stessi come il desiderio comunechiede di essere, imponendosi così come l’oggetto stesso del desiderio altrui. Donarsi completamente in pasto alle loro brame, anche a costo di rinunciare alla propria identità, è in fondo un modo potente per attrarre a sé e catturare il prossimo. Se il venditore fa si che i suoi prodotti diventino significanti per incarnare e rilanciare il desiderio, Silvio, il migliore venditore, diventa egli stesso quel significante. Quello del più grande venditore è così un ego che infondo smette i panni della sua individualità per farsi simbolo, mito, immaginario collettivo:Silvio è il benessere materiale e simbolico degli italiani. Da singolo diventa la “particolare generalità” dei suoi clienti e del loro mondo, da Silvio diventa il berlusconismo, ovvero diventa egli stesso Loro.

“La sinistra non riesce a mettermi a fuoco, crede che sia tutto così complicato. E invece è tutto così elementare”: Berlusconi è elementare perché, in quanto venditore che si rapporta a dei clienti, non deve fare altro che conformarsi ad essi, legando di volta in volta il desiderio altrui alla sua nuova concretizzazionemateriale. Fino a diventare questa stessa concretizzazione. La politica, una volta ridotta al marketing, diventa estremamente facile. Perché fare le smorfie e le battute ai summit internazionali? “Perché il mio elettorato lo trova simpatico”. È tutto qui, non c’è altro. Silvio, in quanto uomo del berlusconismo si rivela un uomo fatto di niente, perché semplice simbolo/oggetto iperbolico dei sogni/desideri di benessere degli italiani. Di tutti gli italiani, tanto di chi lo desidera per volersi conformare a Lui, tanto di chi lo desidera per poterlo disprezzare e marcare la sua differenza da Lui (Morra e Veronica da questo punto di vista sono uguali) Sotto il Loro ed il Lui non c’è più luogo per un io, perché l’individuo è stato sacrificato alla maschera collettiva. Maschera adattata da Silvio a sé stesso in quanto venditore, ma in fin dei conti costruita dagli stessi italiani in quanto ridotti a clientela (da chi? Quando ciò è accaduto?).

Due punti di impossibilità della maschera: l’irriducibile individualità della morte e dell’amore
Silvio non è più un Io, ma un Loro/Noi, una figura, una mascheracollettiva. Eppure continua ad essere un individuo, ad essere esposto a tutto ciò che ci spetta in quanto irriducibilmente singoli. Il tempo passa, il futuro viene mangiato dal passato, i progetti dai ricordi, la gioventù dalla vecchiaia. Capita di dover mettere la dentiera. Il tempo dell’individuo non è evidentemente il tempo del mito collettivo, la vitalità di Silvio non è il vitalismo del berlusconismo. Nelle esperienze massimamente individuali dell’amore e della morte si rivela il sovrapporsi e il confliggere dell’universalità della figura collettiva con la finitezza dell’uomo: Silvio non riesce ad invecchiare, non riesce a riconquistare Veronica e a ricordare con Mike Buongiono(l’amicizia in fondo è una forma d’amore), perché non riesce più a essere se stesso. Il dramma è proprio questo: non c’è più un singolo a cui tornare in quanto Silvio ha lasciato che il mito si appropriasse completamente del singolo. La narrazione del “miglior venditore” si è incarnata senza residui, la maschera non è più rimuovibile e le maschere non invecchiano come il volto che le indossa.

Da questa asimmetria, la tristezza. Il mito lo chiama a replicare, in ogni aspetto dell’esistenza, il ritmo frenetico della conquista commerciale e della vendita. Una ragazza chiama un’altra ragazza, una canzone un’altra canzone, un applauso un altro applauso, in un accumulo senza fine di controfigure indistinte, perse nel generico Loro delle “cose accessibili”. Alla fine anche Kira lo annoia e non può che accettare in cuor suo il modo in cui lo definisce Stella: “patetico” e “triste”, degno di compassione proprio perché preso in una lotta che nessuno può vincere, quella contro il proprio decadere. Particolarmente iconici i pochi secondi in cui Silvio appare sorridente in una gabbia piena di farfalle: lo stesso segno con cui Silvio “firma” le ragazze ospiti delle sue feste.

Veronica, fin dalle prime battute del loro lungo dialogo finale, lo richiama proprio ad uscire dalla gabbia: “prova ad essere un uomo Silvio, non un buffone, qui non siamo a Porta a Porta, siamo solo io e te”. L’ex moglie gli rinfaccia di essere rimasto un piazzista, un venditore, cioè di essere rimasto in un rapporto non/pre politico con il popolo che si era proposto di guidare. Probabilmente come dirà a Mike, Silvio voleva “davvero” fare qualcosa per l’Italia, ma come aveva detto anche Ennio “nessuno cambia, Silvio, nessuno è in grado di uscire da sé stesso”. Dunque nel dialogo vengono costruite per l’ennesima volta le due maschere stereotipe del berlusconismo di Silvio e dell’antiberlusconismo di Veronica in una sorta di opposizione tra vita e forma, “dionisiaco” e “apollineo”. Ma come abbiamoappreso lungo tutto il film, queste non sono che “fuffa”, in fin dei conti del tutto equivalente: le due maschere si distruggono a vicenda nel loro scontrarsi e dunque, cosa rimane? “Non ti riveli mai, neanche a me, sei una lunghissima, ininterrotta messa in scena, Silvio” “E tu, non è forse anche la tua una messa in scena? […] Veronica non ti riconosco più…”. Sotto le maschere non è rimasto più niente, se non il ricordo di essersi amati nelle proprie reciproche, irriducibili individualità: al di là di ogni differenza, più o meno apparente che sia, come solo l’ingovernabilità dell’amore può fare.

Il terremoto, Gesù Cristo, il nuovo Loro
L’ultima parte del Film è segnata dal terremoto di L’Aquila: si tratta di un nuovo, ancora più drammatico punto di crisi della narrazione berlusconiana. Silvio cerca subito di voltarla in farsa, continuando a vendere sogni: il discorso nella tenda della protezione civile è sempre lo stesso discorso. Non è un caso che nel descrivere la New Town antisismica Sorrentino gli faccia pronunciare le stesse parole usate per piazzare l’appartamento immaginario alla signora dell’elenco telefonico. La pubblicità è oramai inesorabilmente confusa con la speranza: dove uno statista avrebbe potuto cercare di accendere l’orgoglio dei terremotati per veicolarne le energie, Silvio continua a vendere appartamenti, continua a voler far piovere manna dal cielo. Silvio sorride, termina il suo solito discorso, i fotografi scattano, ma fuori campo si sente un grido imprevedibile e perturbante: “Gesù Cristo, rivogliamo Gesù Cristo!”. E il corpo, morbido, levigato e candido di un Cristo Deposto viene effettivamente estratto dalle rovine scabre e nere di una chiesa terremotata. Dopo ore e ore di perfetti corpi seminudi che si son agitati sullo schermo, per la prima volta ci accorgiamo veramente della bellezza del corpo umano. Ed è la bellezza di un corpo morto, fisso e, per la prima volta, davvero innocente. Un corpo in attesa di un miracolo: l’imponderabile della resurrezione. Le metafore a questo punto potrebbero moltiplicarsi, specialmente mettendo in relazione le macerie della chiesa con quelle dell’Italia postberlusconiana e questo Cristo con la grottesca teologia disegnata dalla figura di Dio e dello stesso Silvio-Lui.

Il film si chiude con un nuovo, del tutto imprevisto Loro: la scritta appare in sovraimpressione su un gruppo di soccorritori fra la macerie aquilane, proprio come era apparsa all’inizio del filmsui prati verdi della villa in Sardegna. Un nuovo loro, come se da qui dovesse iniziare un nuovo film. Oltre l’ovvia opposizione tra le smorfie della coorte berlusconiana ed i volti segnati, duri, ma sereni dei soccorritori fra le macerie, si può forse intuire in questo ultimo Loro/Noi una opposizione tra ciò che rimane e ciò che passa, in una sorta di metaforico bilancio finale. Quello che passerà è la nottata, sono le macerie, è un tratto della storia del nostro paese. Passa Berlusconi, passa il berlusconismo. Ciò che rimane è un popolo che ha contribuito a creare, ha fatto suo ed è “morto” nel “peccato” fra le macerie del berlusconismo. Ma al tempo stesso rimane un popolo che forse, nonostante tutto, ha ancora dentro di sé, nella sua storia, nella sua millenaria cultura, le potenzialità per risorgere, dando un senso anche al nostro presente. Già, forse.


Andrea Ferretti è laureato in filosofia con una tesi sul Senso Comune nel pensiero di G. B. Vico. È appassionato di calcio, folklori contemporanei e giochi di ruolo.

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