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LO STRANO CASO DI LUCIANO E MATTEO (IN TRE PUNTI)

illustrazione di Matteo Sarlo
parole di Flavio De Bernardinis

 

Uno

In Italia, si è manifestato, si è prodotto, si è verificato un caso davvero singolare e bizzarro, ovvero lo strano caso di Luciano e Matteo.
Luciano è Luciano Spalletti, allenatore della Roma, squadra che milita nel campionato di calcio di serie A.
Matteo è Matteo Renzi, ex presidente del consiglio, attuale segretario del PD, il Partito Democratico.
Cosa possono avere in comune due personaggi così distanti?
Hanno in comune ciò che a noi effettivamente interessa, ovvero il paradigma della comunicazione nel contesto della società italiana. Entrambi, Luciano e Matteo, hanno attivato lo stesso modello di comunicazione nell’ambito della sfera pubblica. Ed entrambi hanno perso.
Il modello comunicativo adottato è il seguente:

” – Voglio fare una cosa.

 –  Se non riesco a fare questa cosa, me ne vado“.

Nel caso di Luciano, la cosa da fare era la vittoria di un trofeo nell’anno sportivo 2016/ 2017, che avrebbe potuto essere uno fra questi tre: lo scudetto, la coppa Italia, l’Europa League.
Nel caso di Matteo, la cosa da fare era la vittoria al referendum costituzionale, da lui promosso e sostenuto, il giorno 4 dicembre 2016.
Entrambi hanno perso. La Roma non ha vinto nulla. Il referendum è stato respinto.
Abbiamo quindi imparato una cosa importante. Il modello comunicativo scelto da Luciano e Matteo risulta inequivocabilmente perdente, e non va mai utilizzato nel contesto della società italiana.
Non solo gli obiettivi non sono stati raggiunti, ma i due soggetti, Luciano e Matteo, sono finiti bersaglio di una severa reprimenda, e di un giudizio impietoso, poiché colpevoli e responsabili di cattiva gestione della pubblica opinione in particolare, e della società civile in generale.
Vediamo.

– Non appena Luciano ha formulato il proprio proposito, subito i giornalisti, i commentatori, gli opinionisti hanno iniziato a tempestarlo della stessa e medesima domanda:

È vero che se non vince nulla, se ne va?

È una domanda, per così dire, esornativa. Superflua. Perché Luciano lo aveva già dichiarato, che se non avesse vinto un trofeo, se ne sarebbe andato. Ma evidentemente non bastava. La strategia comunicativa dei media prevede il principio della ripetizione a oltranza (opzione molto cara a Joseph Goebbels): ogni conferenza stampa è stata buona per porre una volta ancora la domanda fatidica, è vero che se non vince, se ne va? E dove andrà, se se ne va?
La seconda parte della domanda, dove andrà se va via, è complementare alla prima, in chiave allusiva. Il sottotesto è abbastanza chiaro: nessun club importante vorrà assumere un allenatore che dichiara tre obiettivi, e non ne centra nemmeno uno.

 – Non appena Matteo ha formulato il proprio proposito, subito i giornalisti, i commentatori, gli opinionisti hanno iniziato a tempestarlo della stessa e medesima domanda:

È vero che se non passa il referendum, se ne va?

È una domanda, per così dire, esornativa. Superflua. Perché Matteo lo aveva già dichiarato, che se non fosse stato approvato il referendum, se ne sarebbe andato. Ma evidentemente non bastava. La strategia comunicativa dei media prevede il principio della ripetizione a oltranza (opzione molto cara a Joseph Goebbels): ogni intervista è stata buona per porre una volta ancora la domanda fatidica: è vero che se non vince, se ne va? E cosa farà, se se ne va?
La seconda parte della domanda, cosa farà se va via, è complementare alla prima, in chiave allusiva. Il sottotesto è abbastanza chiaro: dopo un fallimento simile, per lui non ci sarà più posto, in ciò che si chiama la politica italiana.

Due

Non ci sono però solo gli opinionisti d’assalto, ci sono anche quelli a difesa. Sia per Luciano, che per Matteo. Ben presto, allora, qualcuno ha iniziato a dare consigli. Anzi, lo stesso e identico consiglio:

Mai impegnarsi in prima persona. Occorre sganciarsi dalle promesse, avere le mani libere, e decidere in corso d’opera“.

È vero che solo gli imbecilli non cambiano idea, però facendo così sarebbe stato anche peggio. Rimangiarsi la parola, avrebbe davvero fruttato?
Eppure, l’osservazione era anche terribilmente vera. La chiara e netta promessa di Luciano e Matteo, si stava trasformando in una gabbia, una prigione stretta e angusta da cui era impossibile uscire.
I media, mass e social, hanno immediatamente espresso, per entrambi, la medesima fatidica opinione: non è vero che costoro, Luciano e Matteo, hanno a cuore il proprio obiettivo; essi perseguono soltanto il successo personale, in politica e nel calcio; usano il referendum e il trofeo sportivo per rinsaldare la propria posizione, il proprio potere, il proprio peso elettorale e calcistico.
Tale è il meccanismo consueto della comunicazione contemporanea: ciò che è etero-referenziale deve essere rovesciato in auto-referenziale:

Se qualcuno dichiara uno scopo, in realtà sta facendo propaganda a se stesso“.

È talmente vero, nella cultura italiana, tale principio, che vale pienamente il reciproco: se qualcuno sta facendo propaganda a se stesso, in realtà sta perseguendo uno scopo.
Si ripensi alle strategie comunicative berlusconiane: votate per me, io farò “meno tasse per tutti”, oppure votate per me, io farò “un milione di posti di lavoro”. È evidente che tutto ciò è falso, o meglio impossibile, ma va bene lo stesso, e Berlusconi può essere gioiosamente votato, e vincere, perché è altrettanto evidente che una simile auto-propaganda non vale per ciò che dice e comunica alla lettera, ma funziona piuttosto per rassicurare tutto e tutti in generale.
La decodifica del messaggio, infatti, è la seguente:

Tu sai benissimo che meno tasse per tutti e 1 milione di posti di lavoro sono impossibili, ma ciò che io intendo comunicarti davvero è questo: anche tu puoi agire negli spazi immensi che si aprono tra il dire e il fare: dì una cosa e fanne pure un’altra, tranquillo, come faccio io, e in Italia, come sempre, ciascuno per sé e Dio per tutti”.

Luciano e Matteo hanno fatto l’esatto contrario: non si apre nessuno spazio tra il dire e il fare. Anche le parole devono essere fatti. E i fatti devono corrispondere alle parole. Ma questo, a livello comunicativo, è intollerabile. Perché la comunicazione contemporanea ormai non distingue più tra opinione e informazione:

– Ogni opinione è assolutamente un’informazione: ciò che dice l’opinionista di turno, oppure chiunque in un blog, risulta un punto fermo sull’argomento, talmente fermo, che serve solo per andare punto e a capo, ossia ricominciare da-capo, nutrire e rilanciare la polemica che così si auto-alimenta all’infinito.

– Ogni informazione è subito un’opinione: l’ossessione per la notizia in diretta, in un network o su un social, lo sforzo di dare le news prima degli altri, in contemporanea con ciò che sta accadendo, se non in anticipo, rende l’informazione stessa, per forza di cose, né vera né falsa, bensì semplicemente opinabile.

Se ne deduce pertanto la legge di base della comunicazione contemporanea:

Ciò che non è opinabile, è intollerabile”.

Luciano e Matteo l’hanno disattesa, ed entrambi così hanno perso.

Tre

Cosa avrebbero dovuto fare, allora, Luciano e Matteo? Valutate le leggi della comunicazione nel contesto della società italiana, avrebbero dovuto trasformare il proposito in opinione. Forse avrebbero vinto, forse avrebbero perso lo stesso, ma sarebbero stati accolti con maggior discrezione, e rispetto, dal sistema dei media, mass e social.
Eppure, la scommessa era proprio questa. La scommessa di non soggiacere alla legge dell’opinabile. Ma si trattava in effetti di scommessa impossibile. Anzi, vietata. Insomma, l’errore è stato quello di non accettare le regole del gioco della comunicazione. E chi non accetta le regole, giustamente, viene espulso.
Ne era consapevole già Benito Mussolini. Che evidentemente né Luciano né Matteo hanno letto. Ma noi sì.
A pagina 671, del volume II della monumentale biografia dedicata al duce del fascismo da Renzo De Felice, si riportano alcuni estratti del discorso che Mussolini tenne al consiglio nazionale del partito, estratti tuttavia allora non diramati alla stampa, e quindi non pubblicati.
Siamo nell’agosto del 1924, e quindi in piena bufera scaturita dal delitto Matteotti. Dice allora Mussolini, rivolgendosi ai suoi fascisti: “Voi vedete che la battaglia è difficile e delicata, e ci vuole una strategia assai fine. Bisogna cloroformizzare, permettetemi questo termine medico, le opposizioni e anche il popolo italiano. Lo stato d’animo del popolo italiano è questo: fate tutto, ma fatelo sapere dopo. Non pensateci tutti i giorni dicendo che volete fare i plotoni di esecuzione. Questo ci scoccia. Una mattina, quando ci svegliamo, diteci di aver fatto questo, e saremo contenti”.
Ecco enunciata con estrema chiarezza, e finezza, l’altra grande legge della comunicazione conforme alle esigenze della società e del popolo italiani: fate tutto, ma fatelo sapere dopo. Che sintetizzata con quella già menzionata, produce infine la seguente incontrovertibile massima:

Tutto ciò che è opinabile, può essere comunicato immediatamente; mentre ciò che non è opinabile, ed è intollerabile, va comunicato soltanto a cose fatte”.

Eccoci qui, allora. Abbiamo finalmente compreso. Se dovessimo gettarci in un’impresa, politica o sportiva, o altro, non prenderemo certo esempio dallo strano caso di Luciano e Matteo, ma ci atterremo scrupolosamente alle indicazioni di Mussolini, naturalmente sintetizzate, aggiornate con quelle modalità, e strategie, che il duce, ai suoi tempi, ancora non poteva conoscere.
E se tutto va bene, per Giove, saranno sia Casaleggio che la Juventus, a contattarci al più presto. Penseremo a tempo debito cosa rispondere. Mani libere. Abbiamo imparato la lezione.


Flavio De Bernardinis è docente di Analisi del linguaggio cinematografico e Storia del cinema presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Ha curato il volume 1970-1976 della Storia del cinema italiano. Tra i suoi saggi Nanni Moretti; Robert Altman; L’immagine secondo Kubrick. È in uscita Arte cinematografica. Il ciclo storico del cinema da Argan a Scorsese.

Matteo:
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