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Leggere Ernesto Sabato. L’anima e il sangue d’Argentina
31/05/2018|L'ANALISI

Leggere Ernesto Sabato. L’anima e il sangue d’Argentina

parole di Marco Quaglia illustrazione di Matteo Sarlo

Rileggere Ernesto Sabato, lo scrittore morto a 99 anni, dottorato in fisica e chiamato al laboratorio Curie. La sua voce era «un fiume nero» – definizione dell’amico José Saramago – priva dei barocchismi e delle finzioni della scrittura sudamericana.

C’è stato un uomo di Rojas, Argentina, che ha vissuto 99 anni. Quest’uomo ha scritto solo 3 romanzi e non si è mai lasciato attrarre dalla costruzione di “terre magiche”, dalle “finzioni” e dalle “rayuele” strabilianti della letteratura di quella parte del mondo. Quell’uomo si chiamava Ernesto Sabato. Tutto in lui è stato tormento e buio, e la letteratura ha rappresentato l’unica lente per investigare l’uomo e il suo destino. Sarebbe potuto nascere nel vecchio Continente, o ancora meglio, per affinità elettive, in Russia, e invece il caso volle farlo nascere in Argentina nel 1911 da una famiglia di emigrati calabresi. Ben presto il giovane Sabato si avvicinò al mondo della scienza e della fisica, affascinato dai teoremi della matematica e dai mondi perfetti ed in equilibrio costante che questi sembravano offrirgli. Il percorso di Sabato nel mondo della scienza fu brillante al punto che una volta dottorato in fisica a La Plata fu chiamato a Parigi per lavorare nel Laboratorio Curie. Eppure fu proprio lì, mentre di giorno si occupava delle componenti più piccole del mondo, che il tormento e il buio incominciarono a prendere il sopravvento. “L’armonia platonica non mi era più sufficiente” dirà molti anni dopo in questa intervista. Fu così che cominciò a scrivere, di notte, nel segreto della sua stanza e senza parlarne con i colleghi. La prima opera che concluse finì gettata nel fuoco. Si andava formando allora, in nuce, un altro tratto distintivo della personalità di Sabato: l’eterna insoddisfazione. Personale, di sé e del proprio lavoro, e che ben presto sarebbe stata proiettata quasi come una categoria ontologica sul mondo circostante. Fu forse per questa stessa insoddisfazione che si avvicinò al comunismo in gioventù salvo poi allontanarsene. Fu senz’altro per questa ragione che oggi, saggi a parte, sono solo 3 romanzi di Sabato scampati alla fiamme. Eppure sono stati sufficienti, dicono in molti, per fare di questo singolare essere notturno il più grande autore argentino del Novecento.
Ernesto Sabato, Il Tunnel (Feltrinelli)
Il Tunnel, questo il nome della sua prima opera, uscì nel 1948 (in Italia è presente nel catalogo di Feltrinelli), Sopra Eroi e Tombe nel 1961 (Einaudi) e L’Angelo dell’abisso nel 1974 (SUR). Pur scritti a distanza di decenni l’uno dagli altri, le tre opere rappresentano quella che è una vera e propria trilogia. Per ambientazione, protagonisti, richiami espliciti ed impliciti, l’approccio a Sabato non può che procedere per l’ordine scandito delle sue pubblicazioni. Alla seconda pagina del Tunnel veniamo subito catapultati nel suo mondo:
Che il mondo sia orribile, è una verità che non necessita di dimostrazioni. A ogni modo, è sufficiente un fatto per provarlo: in un campo di concentramento un ex pianista si lamentava per la fame e allora lo obbligarono a mangiarsi un topo, ma vivo. Non è certo di questo che voglio parlare; più avanti, se ci sarà l’occasione, aggiungerò qualcosa sulla storia del topo
È importante questo passaggio, dato alle stampe nel suo romanzo di esordio per comprenderne un altro, ben più celebre e pubblicata in un saggio del 1979: “Dio non ha bisogno dell’arte”, che poi è come dire che la perfezione non ha bisogno di nient’altro che di sé stessa. Ma siamo uomini, ci ricorda Sabato, seduto alla scrivania in penombra dietro i suoi grandi occhiali, e siamo imperfetti. Nella sua arte non c’è spazio per il gioco e le illusioni, gli arzigogoli e i barocchisimi. E allora ecco la ragion d’essere del romanzo, come spazio unico in cui esplorare l’uomo, la metafisica e il proprio destino. E’ qui che sarà estremamente europeo, e specificatamente russo. Il dilemma della condizione umana di Juan Pablo Castel (il protagonista, assassino reo confesso del Tunnel), e la sua tremenda confessione farà parlare molto di sé, al punto da giungere fino in Francia dove un’anima affine capterà e riconoscerà qualcosa: è Albert Camus. Forse fu il primo a fare un parallelo tra quel personaggio e Meursault (il protagonista de Lo Straniero, publicato 6 anni prima), fatto sta che Gallimard, la casa editoriale di riferimento della cultura francese, sarà la prima a pubblicare Sabato fuori dall’Argentina. Ci sono tutti i presupposti per l’inizio di una carriera letteraria stratosferica e invece seguiranno anni di silenzio. Il vero terremoto giunse 13 anni dopo.
Ernesto Sabato, Sopra Eroi e Tombe (Einaudi)
Sopra eroi e tombe, il libro che da solo può bastare ad un intero secolo di scrittura, è un vero universo polifonico, surrealista ed esistenzialista – come nota Ernesto Franco nella prefazione all’edizione einaudiana del 2009. È la storia di Alejandra, erede di una famiglia decaduta dell’aristocrazia di Buenos Aires che parte dalla sua fine violenta, con un frammento di cronaca nera sulla sua morte in apertura. Pare abbia scelto di bruciarsi viva portandosi con sé il padre. Chi ha letto il libro sa che dietro ci sta altro e che Sabato è magistrale nella elaborazione di questa tragedia a metà, che con echi classici (Edipo soprattutto) e faustiani (a partire dal titolo), reinterpreta in chiave assolutamente moderna quello che è un vero canone, aspirando allo status di canone esso stesso.
La notte, l’infanzia, le tenebre, le tenebre, il terrore e il sangue, sangue, carne e sangue, sogni, abissi, abissi insormontabili, solitudine solitudine solitudine, tocchiamo ma siamo a distanze incommensurabile, tocchiamo ma siamo soli. Era un ragazzo sotto una immensa cupola, nel mezzo della cupola, in mezzo a un silenzio terrificante, solo in quell’universo gigantesco.
In questo passaggio, Sabato parla dell’innamoramento di Martin per Alejandra; è questo il momento in cui si accorge dell’amore. E fa la comparsa qui anche un altro tema che forse fu ossessione, vale a dire quello della cecità. L’interesse di Sabato per questo che è evidentemente solo l’epifenomeno di qualcosa di altro sarà tale, che all’interno di Sopra eroi e tombe, al capitolo terzo, viene collocato un vero e proprio libro nel libro: il Rapporto sui ciechi. (L’espediente trova certamente la sua ispirazione nella passione di Sabato per Dostoevskij, tanto ricorda nella sua importanza all’interno della struttura narrativa del romanzo Il grande Inquisitore dei Fratelli Karamazov). Tale rapporto è l’allucinato racconto di uno dei personaggi del libro, Fernando Vidal Olmos, il padre di Alejandra, convinto dell’esistenza di una setta di ciechi e del loro complotto diabolico. Il finale del libro è noto dall’inizio, ma non sarà quello che sembra.
Ernesto Sabato, L’angelo dell’abisso (SUR)
   Eppure credo di aver fatto un torto fino ad ora a Sabato, perché non manca mai la speranza, al fondo del vortice oscuro che sembra caratterizzare la filosofia, la narrativa, e la sua vita. Tale speranza può assumere i connotati di una ritirata verso il Sud, – come nel caso di Martin, il sopravvissuto di Sopra eroi e tombe -, e che per un argentino altro non è che la Pampa, madre al contempo ancestrale e inospitale. Così come può assumere aspetti estremi nella sua ultima fatica, il frammentato e oscurissimo Angelo dell’abisso. Qui Sabato scollina, al pari di pochi altri giganti della scrittura, in un territorio ignoto, rendendosi egli stesso autore, narratore, protagonista, oggetto e chiave interpretativa della propria scrittura. Sabato riprende qui i temi aperti nei due libri precedenti, addentrandovisi ben oltre ogni limite canonico e di costruzione classica. C’è una scena ad esempio, in cui egli stesso si trasforma kafkianamente in un pipistrello, o come dice lui, un topo con le ali. E poi anche la tragedia è superata e solo qui la sua intera produzione letteraria trova una conclusione. Bruno, uno dei mille personaggi che l’autore ci fa seguire in una Buenos Aires che si prepara alla tremenda dittatura dei colonnelli (passeranno solo 2 anni dall’uscita del libro all’arrivo di Videla), sta vagando in un cimitero, curiosando tra le lapidi quando si imbatte in questa:
Ernesto Sabato Volle essere sepolto in questa terra Con una sola parola sulla sua tomba PACE
Chissà se trovò mai veramente pace Ernesto Sabato. E’ stato disposto ad uccidersi nel suo ultimo libro per trovarla. Stando a Saramago, che lo conobbe e strinse con lui una profonda amicizia, no. In un incontro avvenuto in casa di Sabato, narrato nei suoi Quaderni di Lanzarote racconta:
Ombra fra ombre, si era trasformato nella voce del cinereo che lentamente copriva la sala, le librerie, i visi, le sagome, le mani. Gli ho detto che persino per non credere alla ragione avevamo bisogno della ragione, che il Male non era effetto né opera di un Demonio, che non c’è altro Demonio né altro Dio se non l’uomo stesso. Non sono certo che mi abbia ascoltato. La sua voce era come un fiume nero verso il quale, a poco a poco, io stesso, aggrappato alla sponda, andavo scivolando.

Marco Quaglia è laureato in Relazioni Internazionali. Nel 2017 ha pubblicato insieme a Shareable.net un libro collettivo sul fenomeno delle città condivise “Sharing Cities: Activating the Urban Commons“. Cura un blog di letteratura.
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