illustrazione di Matteo Sarlo
parole di Andrea Ferretti
Al Paris Fashion Week Lacoste presenta l’iniziativa Lacoste x Save our Species. Al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica e raccogliere fondi per la tutela della biodiversità, per la prima volta il coccodrillo abbandona il suo posto e fa spazio ad altre 10 specie di animali in forte via di estinzione.
È il 1923 e a Boston un diciannovenne René Lacoste è in ritiro con la squadra francese di Coppa Davis, i leggendari “quattro moschettieri”. A pochi giorni da un importante match, Renè sta passeggiando con i suoi compagni quando nota in un negozio chic una borsa in pelle di coccodrillo, potenzialmente perfetta per contenere le sue racchette da tennis. I ragazzi ne ridono, lo prendono in giro, finché il capitano della squadra, Pierre Gillou, non gli promette: “va bene Renè, vinci e ti compro la borsa di coccodrillo”. La sfida deve essere giunta alle orecchie di George Carens, giornalista del Boston Evening Transcript, il quale avrebbe scritto, commentando la partita del giovane Lacoste, “he fought like a real crocodile … and never gave up on his prey“. René fece dunque suo il soprannome e, ricamandosi il coccodrillo sulle divise da gioco, legò indelebilmente a sé l’immagine del grande rettile, nel Nuovo come nel Vecchio continente, nel tennis come nel business.
Non sapremo mai “perché” Lacoste si affezionò così tanto al coccodrillo. Vi vedeva qualcosa di sé o del suo tennis? Era il semplice ricordo di un periodo felice? Vi era dietro una questione di scaramanzia o di autoironia? Di certo l’analogia si impone: da Esopo in avanti siamo costretti a cercare i più disparati aspetti di noi stessi e degli altri nel mondo animale. L’animale è il simbolo, il blasone per eccellenza; dall’araldica nobiliare agli scudetti delle squadre di calcio. Non a caso il giornalista americano usa il coccodrillo proprio per definire il tennis di Lacoste, fatto soprattutto di tenacia, studio degli avversari e preparazione. Un tennis a “sangue freddo”, non costruito su caratteristiche fisiche straordinarie, ma frutto di una strategia fatta di ritmi e linee tracciate con precisione da fondocampo. È inoltre significativo che l’aneddoto riguardi proprio una borsa utilizzabile per le racchette, riportandoci ad un’epoca in cui quello degli strumenti e degli indumenti sportivi non era ancora un mercato sfruttato da proposte commerciali specifiche. Sarebbe impensabile oggi vedere Federer scendere in campo con le racchette in una borsa non fatta per potare le racchette. Come imprenditore Lacoste contribuì proprio a questo processo di tecnicizzazione ed innovazione del materiale sportivo, fondando nel 1933 la sua casa di abbigliamento. Prima di diventare vestiario “di moda”, la polo Lacoste era stata infatti pensata da René come risposta all’esigenza di un vestiario più comodo e funzionale per il tennis. Tutto si svolge nel segno del coccodrillo: da quello vero della borsa di Boston alla polo con il segno del coccodrillo, passando per il tennista coccodrillo.
Così in 85 anni il nostro coccodrillo ha raggiunto la sua attuale celebrità mostrandosi sui petti di milioni di persone in tutto il mondo. Non ha mai lasciato il suo posto fino al 1 marzo 2018 quando, in occasione della Paris Fashion Week, è stata presentata l’iniziativa Lacoste x Save our Species. Al fine dichiarato di sensibilizzare l’opinione pubblica e raccogliere fondi per la tutela della biodiversità, sono state individuate 10 specie animali a forte rischio di estinzione e dunque è stata prodotta una polo bianca per ogni esemplare vivente. Al posto dello storico coccodrillo l’icona della specie a rischio, ovviamente tratteggiata nel caratteristico stile del brand Lacoste. Si va così dalle 30 polo dedicate alla focena del golfo di California alle 450 dell’iguana di Anegada, per un totale di 1775 esemplari, acquistati tutti nel giro di poche ore. Nello spot diffuso su Facebook per pubblicizzare l’iniziativa si vede una pila di 10 polo bianche piegate e poste l’una sull’altra, con il tradizionale coccodrillo ben in vista. I coccodrilli iniziano subito a spostarsi verso destra, uscendo dallo schermo, mentre da sinistra avanzano i simboli delle 10 specie che prendono il loro posto sulle rispettive polo. Dunque si compone la frase “the crocodile leaves his historical spot to 10 threatened species”.
L’idea dietro la pubblicità sembra essere al tempo stesso semplice e potente: il “luogo del coccodrillo” su una polo Lacoste è un luogo importante, visibile e desiderabile. Vi risiede un animale forte e intelligente, che si è affermato attraverso una lunga storia di brillanti intuizioni e duro lavoro. È la storia che parte con i successi del Lacoste tennista e arriva fino a noi tramite la sua attività imprenditoriale. È insomma il luogo che rende una polo una polo Lacoste, riconoscibile in tutto il mondo. Tuttavia il coccodrillo sa che ci si può anche fare da parte, prestando la visibilità che ci si è guadagnati a chi al contrario è minacciato e sta per scomparire, proprio come le 10 specie in via di estinzione. La Lacoste vuole così trasferire la determinazione e la tenacia simboliche del suo coccodrillo a chi deve lottare per poter continuare ad esistere, per poter continuare a “stare sul campo di gioco”. Per poterlo fare deve però tradurli nel linguaggio del suo abbigliamento e così ogni specie deve diventare un emblema nello stesso stile del coccodrillo, come ogni singolo esemplare deve diventare una polo bianca. La loro causa misconosciuta può così avvalersi della visibilità e della forza simbolica del coccodrillo: le polo vengono subito vendute, le persone ne parlano, continuano a donare e, tramite la partnership con l’International Union for Conservation of Nature, l’incasso viene usato concretamente per la tutela della biodiversità. La Lacoste, la grande casa di abbigliamento, ha dato ciò che aveva da dare, il coccodrillo ha aiutato i suoi simili.
Simboli e metafore permettono di articolare pensieri elastici, estendibili ad immagini ed inferenze non del tutto prevedibili o comunque non previste in partenza. L’idea di un coccodrillo che “lascia il posto”, che fa passare, può far venire in mente anche il modo in cui questo antichi animali cacciano. Abbiamo tutti negli occhi quelle sequenze in cui dei mammiferi cercano di attraversare un fiume mentre un coccodrillo li aspetta seminascosto appena sotto la superfice dell’acqua. Il rettile li attira nel suo luogo per poterli stringere nella sua morsa; la sua è una trappola spietata e l’apparente “farsi da parte” è finalizzato alla cattura. Il coccodrillo scompare per poter mangiare ed assimilare. Sulla base di questo versante della metafora, la campagna della Lacoste sembra essere il simbolo perfetto di quelle strategie pubblicitarie chiamate Cause Related Marketing, in cui un’azienda privata si impegna ad attuare iniziative di interesse sociale.
Se il coccodrillo Lacoste, la grande azienda di moda, è il luogo della grande visibilità e della luce, mentre le 10 specie in via di estinzione sono il luogo dell’oscurità e della scomparsa, nel Cause Related Marketing avviene il paradossale fenomeno per cui ciò che è buio illumina davvero ciò che è luminoso proprio mentre ciò che è luminoso pretende di illuminare ciò che è buio. Alla fine di questo gioco di luci si scopre che ciò che dona visibilità e colma l’altro di senso non è tanto il coccodrillo, quanto le 10 specie. Non a caso chi ha davvero bisogno della preda è il predatore, non certo il contrario. La ragione è molto semplice: il denaro e l’attenzione mediatica/simbolica di cui la grande casa di moda gode e può trasferire alla causa sociale potrebbe essere in linea di principio raggiunta anche tramite ben altre esperienze con ben altre finalità. Da questo punto di vista il dibattito politico non dovrebbe farsi scavalcare dalle multinazionali. Del resto la protezione della biodiversità è un qualcosa che può chiedere di essere preso in considerazione di per sé, per il suo valore intrinseco. Al contrario la grande azienda è vincolata a quella che è la sua unica logica interna, ovvero il profitto. Nella misura in cui in un mercato già molto saturo di proposte è sempre più difficile differenziarsi e conquistare il pubblico per il modo in cui si cercano di soddisfare le sue esigenze, diventa chiara la necessità di appellarsi ad istanze e logiche differenti proprio per tutelare il profitto. La polo Lacoste infatti è qualcosa che di per sé non vale niente: perché dovremmo continuare ad indossarla se da ottant’anni i tennisti hanno smesso di giocare con la camicia a maniche lunghe e la cravatta? Sicuramente non è più nulla di innovativo. Se invece la continuiamo ad indossare è per motivi di ordine simbolico e per un’azienda il cui emblema storico è un coccodrillo, cosa c’è di più facilmente assimilabile a sé della causa delle specie in via d’estinzione? Lo stessa scelta della causa a cui associarsi sembra tutt’altro che casuale, ma dovuta a ben precise logiche di branding (sarebbe stato molto più difficile sviluppare una campagna efficace in cui Lacoste sosteneva le vittime di incidenti sul lavoro o la lotta allo scioglimento dei ghiacciai).
Il coccodrillo concede una briciola della sua forza/luce materiale alla causa delle 10 specie e può ben farlo perché spazi pubblicitari, denaro, polo, progetti di marketing sono tutte cose quantificabili, che possono essere più o meno abilmente dosate in base all’utilità ed alle singole circostanze. Le 10 specie, al contrario, concedono tutta la loro forza/luce valoriale ed emotiva alla causa della Lacoste. Quello che colpisce è alla fin fine l’iniquità dello scambio: qualche dollaro ed un po’ di pubblicità in cambio di quel brivido di assolutezza che possiamo provare solo di fronte alla morte di una intera specie. Ciò che scompare è l’unicità di un genere la cui storia che affonda nelle radici stesse della vita. Una storia lunga miliardi di anni, altro che gli 85 del coccodrillo Lacoste. Chiunque può sentirvi un’oscurità molto più luminosa di qualsiasi passerella parigina. Eppure questa oscurità, per poter diventare visibile oggi, sembra dover passare per la sua traduzione nel codice dell’abbigliamento Lacoste. I 1775 esemplari sopravvissuti non possono prendersi la scena autonomamente, devono aspettare che il coccodrillo gliela ceda. Devono diventare 1775 polo bianche. L’unico modo per apparire è morire una volta di più, farsi pallidi trofei per collezionisti di moda.
Andrea Ferretti è laureato in filosofia con una tesi sul Senso Comune nel pensiero di G. B. Vico. È appassionato di calcio, folklori contemporanei e giochi di ruolo.