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La Società dell’Eccesso ha il suo lato osceno nell’Immunologia

illustrazione di Matteo Sarlo
parole di Matteo Sarlo
La metropolitana di Londra rifiuta Egon Shiele perché perturbante. L’episodio racconta il meccanismo di una società dedita al godimento che ha come suo lato osceno una illimitata perversione immunologica

Si profila un’altra forma di dittatura protettiva, la dittatura del politicamente corretto. Emblematico è il recente caso dei poster di due nudi di Egon Schiele rimossi nella metropolitana di Londra. Nel 2018 ricorre l’anniversario della morte dell’artista, autore di veri capolavori dell’espressionismo viennese. L’ente del turismo austriaco, per sponsorizzare gli eventi creati per l’occasione, ha inviato i poster di due dipinti anche a Transport for London, la società che gestisce le metropolitane della capitale britannica, la quale li ha rifiutati ritenendo che tali dipinti possano essere perturbanti. Con grande eleganza gli austriaci hanno deciso di coprire i genitali nei dipinti con una fascia bianca e la scritta: Siamo spiacenti, hanno cento anni ma sono ancora troppo audaci.

Va dilagando la protezione del politicamente corretto: nel romanzo di Mark Twain “Huckleberry Finn” la parola negro (niger) è stata sostituita con schiavo e nelle università americane prima di leggere o proporre un testo bisogna avvisare che può risultare offensivo o perturbante. Così prima di leggere Il grande Gatsby occorre avvisare che si tratta di un romanzo misogino e che contiene episodi di violenza sessista. In alcuni teatri in giro per il mondo non si rappresenta più Il Mercante di Venezia oppure l’Otello. Sono state raccolte più di 9000 firme per rimuovere dal Metropolitan Museum of Art di New York Thérèse dreaming di Balthus perché l’opera viene considerata una istigazione alla pedofilia.
Ultimo in ordine temporale è il caso della Carmen messa in scena a Firenze. Già, perché questa volta non è lei a morire ma, riscrivendo completamente il finale di Bizet, è lei ad uccidere Don José. Leo Muscato, regista, spiega la scelta come una presa di posizione contro il femminicidio. Al di là, certo, delle buone intenzioni – sarebbe sciocco non accorgersene – il caso è tuttavia emblematico di un modus operandi.

E proprio nel nostro paese, in ricorrenza della giornata contro la violenza sulle donne, si è accusata l’arte di non essere immune nella costruzione di un pensiero sessista, citando il Ratto di Proserpina di Bernini e Nastagio degli Onesti nella versione di Botticelli. Così il dilagare delle guerre, l’eccesso di violenza personale, lo sballo permanente, l’eccesso di consumo di merce, trova la sua immunologia nell’eccesso del politicamente corretto.

In altri termini, siamo entrati in quello che si è chiamato coerentemente «capitalismo culturale». È il caso esemplificato nel primo episodio dell’ultima stagione di Black Mirror USS Callister: Robert Daly è il geniale e represso co-founder dell’azienda informatica Callister. L’azienda è però completamente nelle mani dell’altro socio della Callister, James Walton. Quel che Charlie Brooker e William Bridges, sceneggiatori dell’episodio, mettono in atto è il seguente meccanismo: Daily è il soggetto continuamente frustato dalla realtà che utilizza le sue capacità di geniale programmatore per creare un videogioco in VR a partire dal DNA rubato dei colleghi che più detesta (compreso ovviamente Walton) oltre al DNA di Annette Cole, la nuova arrivata in azienda, suo oggetto del desiderio che non potrebbe mai possedere nella realtà e quindi ingloba nella realtà virtuale. Tutte le sere, staccato il lavoro, Daily torna a casa, entra nel VR, e gioca alla tortura dei suoi personaggi. Il gioco è costruito sull’impianto della sua serie tv preferita, un dichiarato calco di Star Trek.

La lettura canonica dell’episodio si baserebbe sulla classica dicotomia realtà/finzione sul piano ontologico e quella repressione/vendetta su quello etico. Ma se invece l’episodio ci dicesse altro? Se quel che mettesse in piedi USS Collister non fosse proprio un esempio di «capitalismo culturale»? Già, perché quel che muove Daily non è la fuga dal deserto del reale verso il mondo delle illusioni, ma è esattamente la spinta propulsiva che spinge il consumatore contemporaneo a comprare sempre nuove merci. La regola base che disciplina l’acquisto è infatti la seguente: non comprare in virtù della utilità della cosa ma compra per usufruire della sua esperienza. Questo significa che:

  1. Esiste un reale della utilità: compro qualcosa per la sua qualità. Diventato ormai obsoleto.
  2. C’è un valore simbolico dello status: compro l’iPhone X per segnalare a tutti (spettatori dell’esibizione del nuovo oggetto) il mio status. Che funziona ancora, ma non isolato.
  3. C’è un valore immaginario: il valore dell’esperienza che l’oggetto mi procura.

È sul punto 3 che lavora il capitalismo culturale: che bisogno c’è di prendere in pugno la situazione nella realtà, affrontare le proprie paure, forzare i propri limiti, quando è molto più pratico ed economico ottenere semplicemente la mia esperienza individuale, lasciando perdere la deviazione della realtà? È qui in ballo ovviamente la soddisfazione del mio vero Sé. È Slavoj Zizek a citare su questo punto la pubblicità di Starbucks, che riportiamo:

Ma, quando compri da Starbucks, che tu te ne renda conto o no, stai comprando qualcosa di più grande di una tazza di caffè. Attraverso il nostro programma Starbucks Shared Planet, compriamo più caffè equo e solidale di ogni altra compagnia nel mondo, assicurandoci che i contadini che coltivano i chicchi ricevano un prezzo equo per il loro duro lavoro. E investiamo e sosteniamo pratiche e comunità di coltivatori di caffè per tutto il pianeta. È il buon karma del caffè… Oh, e una parte del prezzo di una tazza di caffè Starbucks è destinato a offrirvi sedie confortevoli, buona musica e la giusta atmosfera per sognare, lavorare e conversare. Tutti abbiamo bisogno di posti così di questi giorni… Quando scegli Starbucks, stai comprando una tazza di caffè da una compagnia che si prende cura degli altri. Non è strano che il gusto sia così buono.

Qual è il messaggio della società che riporta come proprio simbolo unaMixoparthenos, cioè una donna dalla vita in su e serpente dalla vita in giù? Quel che stai comprando non è semplicemente caffè ma cura per l’ambiente, responsabilità per i produttori e, scrive Zizek, «un posto in cui tu stesso puoi prendere parte a una vita in comune (sin dall’inizio Starbucks ha presentato i suoi negozi di caffè come un surrogato di comunità)».

Cosa lega allora Starbucks a Daily? Intanto che il geniale e represso programmatore se ne va sempre in giro con una tazzona di caffè nella destra. E poi, il fatto che tutti e due aderiscono e promuovono un tipo di individuo che teme gli eccessi della vita come elementi di disturbo, desiderando una felicità senza tensioni tutta fondata sull’esperienza e il godimento di quella esperienza. Ben inteso, quel tipo particolare di esperienza oculatamente emendata del suo lato scabroso. E allora il dipinto che istiga alla violenza, il caffè senza caffeina, la birra senza gradazione alcolica, il tè senza teina. Fa sistema in questo contesto che una volta entrati nella VR, tutti i partecipanti della flotta del Capitano Daily siano evirati: il desiderio senza troppe complicazioni.

L’immunologia poi ha un nome tutelare, nel panorama contemporaneo, quello di Peter Sloterdijk. Nel passaggio dalla trilogia delle Sfere a Devi cambiare la tua vita, il filosofo tedesco arriva a considerare l’essere umano come punto di incontro di pratiche immunologiche, siano esse biologiche siano esse culturali, e ad affermare:

Nella sfera umana esistono almeno tre sistemi immunitari, i quali, sovrapponendosi l’uno all’altro, cooperano in un profondo intreccio reciproco e si integrano in termini funzionali: oltre al sostrato biologico ampiamente automatizzato e indipendente dalla coscienza, sono andati formandosi nell’essere umano, nel corso della sua evoluzione mentale e socioculturale, due sistemi integrativi finalizzati al trattamento preventivo delle lesioni: da un lato, le pratiche socio-immunologiche, in particolare quelle di tipo giuridico e solidaristico, ma anche militare, con le quali gli esseri umani che vivono in “società” risolvono le loro controversie con aggressori lontani ed estranei e con elementi oltraggiosi o nocivi vicini. Dall’altro lato, le pratiche simboliche ovvero psico-immunologiche, con l’ausilio delle quali, fin dai tempi antichi, gli esseri umani riescono a far fronte più o meno bene alla loro vulnerabilità dovuta al destino, inclusa la mortalità, attraverso misure di prevenzione immaginaria e di equipaggiamento mentale.

Intanto, andando sui fondamentali, per Sloterdijk abitare significa costruire delle sfere. E tutte le sfere sono delle creazioni di spazi dotati di un effetto immuno-sistemico con le quali poter interagire con l’esterno. Perché la sfera – dalla placenta alla città – permetterebbe quella adatta climatizzazione –creazioni di costumi, usanze, rituali, in altri termini creazione di un codice – che rende possibile la sopravvivenza degli esseri umani concentrandosi sul trattamento preventivo delle lesioni.
Insomma per Sloterdijk è chiaro:

Tutta la storia è la storia di lotte tra sistemi immunitari

Tuttavia nell’epoca della globalizzazione l’esternalizzazione ha incontrato il suo confine assoluto e la Terra ha raggiunto il limite. Basti pensare ai fragili sistemi atmosferici e biosferici. In questo momento allora secondo Sloterdijk nasce l’esigenza del protezionismo. Ma un protezionismo molto particolare, cioè un protezionismo che potremmo definire della totalità e non della differenza. L’immunologia diventa l’erede legittima della metafisica e la reale teoria delle religioni, facendo saltare in aria la schmittiana polarità nemico/amico su cui si è basata la storia precedente. Nei suoi termini, è venuta l’ora di abbattere il confine tra sfera personale e sfera estranea. Il che vuol dire: è vero che l’immunologia si impone oggi come dispositivo salvifico, ma nel segno della unità e partecipazione e non della esclusione, sul piano politico-democratico, sul piano salutista, sul piano psicologico etc…
In altre parole la globalizzazione dovrebbe permettere non la censura ma la condivisione:

La storia della sfera personale, intesa in senso troppo ristretto, e della sfera estranea, trattata in modo troppo negativo, raggiunge la sua conclusione nel momento in cui sorge una struttura co-immunitaria globale basata sull’inclusione delle singole culture, degli interessi particolari e delle solidarietà locali. […] Una struttura simile si chiama “civiltà”.

In questo senso allora Sloterdijk prefigura, o meglio auspica, una nozione immunologica di segno positivo. Tuttavia l’impressione è che l’immunologia che si sta diffondendo è di altro segno, tutta votata all’esclusione, alla eliminazione, alla censura, in nome di una sana e pericolosa purezza e di uno schiacciante salutismo.
La metropolitana di Londra rifiuta di affiggere i poster di Egon Schiele perché perturbanti? È chiaro: che nulla tocchi il sacro equilibrio edonistico della società immunologica. Quasi dimenticavo: la sigaretta, senza nicotina. Grazie.


Matteo Sarlo ha scritto per diverse riviste filosofiche, di critica cinematografica, viaggi, cronaca e narrativa urbana. Ha pubblicato Passaggi sul vuoto (Galaad), un saggio sul concetto di «vuoto» in filosofia. È in pubblicazione Pro und Contra. Anders e Kafka (Asterios)

Matteo:
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