illustrazione di Matteo Sarlo
parole di Flavio De Bernardinis
Già nel 1945 Alexandre Koyré aveva parlato di uno dei temi su cui oggi si schierano filosofi e scrittori: La post-Verità. Ma esiste davvero, o è solo un altro modo per non dire “menzogna”?
Nel 1943, lo storico del pensiero scientifico Alexandre Koyré, pubblicava a New York, dove lo aveva destinato Charles de Gaulle, le Réflexions sur le mensonge (Sulla menzogna politica, tr.it. di Claudio Tardili, Lindau, 2010).
Per Koyré, i regimi totalitari hanno spinto le tecniche della comunicazione politica a un livello tale che forse non è più possibile parlare né di “verità”, né di “menzogna”. Per arrivare a ciò, si è comunque stabilito un vero e proprio “primato della menzogna”.
Koyré non è tuttavia interessato a una condanna radicale della menzogna. La menzogna, anzi, è sovente un’arma utile e subito operativa. Per esempio, la “sincerità non è mai stata considerata la miglior qualità di un diplomatico”; oppure, nel commercio, entro certi limiti, la menzogna è tollerata e ammessa (si pensi alla pubblicità).
Il settore in cui la menzogna è esplicitamente considerata cosa buona e giusta, è la guerra. A questo punto, Koyré si chiede: “se la guerra, da evento eccezionale, episodico, diventasse uno stato continuo e normale? Allora, anche la menzogna, da caso eccezionale, diventerebbe caso normale”.
Si dia quindi il caso, a mo’ di esempio, di un “gruppo sociale”, gettato in una condizione di “ostilità assoluta e totale”. Il gruppo sarà allora costretto a sparire. Oppure, applicando fino in fondo la tecnica e l’arte della menzogna, sparire sì, ma solo agli occhi degli altri, rifugiandosi nell’oscurità del segreto”. La menzogna, così, sarà nulla più, o di meno, che la condizione dell’esistenza stessa del gruppo. Fondamento e origine dei legami tra i membri. Nella situazione radicale del “segreto”, la fedeltà al gruppo diventa valore supremo, la gerarchia un valore sacro e assoluto, l’autorità illimitata, così come l’obbedienza.
Per esistere, e agire, il nostro esempio di “gruppo sociale”, così, deve nascondersi. Se un membro parla in pubblico, allora la parola diventa “un mezzo per nascondere il proprio pensiero”. Ogni parola, dunque, altro non è che una menzogna.
È possibile identificare il “gruppo sociale”, qui descritto, con il regime totalitario? Sembrerebbe di no: il partito nazista, ammette Koyré, non si nasconde. Hitler non dissimula nulla del suo Mein Kampf.
Eppure, qualcosa non torna. È cosa fondamentale, secondo Koyré, infatti, che quando Hitler proclamava pubblicamente le sue idee e il suo programma, sapeva benissimo che non sarebbe stato creduto. Dicendo la verità, pertanto, poteva ingannare tutti gli altri. Il regime totalitario nazista, per Koyré (come per altri versi in Hannah Arendt), ha costituito una novità nel panorama della menzogna: ovvero, una cospirazione alla luce del sole. Nell’età della democrazia e della cultura di massa, ossia della Comunicazione al Potere, il “gruppo sociale” può cospirare senza aver più bisogno di nascondersi.
Nell’età della cultura di massa, puntualizza Koyré, il gruppo sociale qui descritto provvede a una mutazione: da “società segreta” diventa “società con segreto“. La avvenuta presa di potere del gruppo, ossia Hitler che riesce a diventare il führer della Germania nazista, non annullerà affatto i legami esoterici e occulti tra gli iniziati, i piani e i progetti che solo in pochi conoscono, e devono conoscere. Tutta la massa degli adepti, i tedeschi ormai “nazificati”, non sono certo ritenuti degni di conoscere i piani e progetti della élite del Partito. Meglio, non potrebbero arrivare a conoscere, e comprendere la Verità, il Grande Progetto, perché l’uomo-massa è ritenuto del tutto privo di pensiero e di giudizio. Per i regimi totalitari, l’uomo-massa, stabilisce Koyré, è considerato
“incapace di discernere il vero dal falso”
Non è già il regime della post-verità in azione? O meglio, post-verità e post-falsità, entrambe, nel regno del né vero, né falso?
DITTATURE
Per il regime totalitario, la massa non sa né pensare, né volere. Solo credere, e obbedire. “Essa crede” dice Koyré “a tutto ciò che le si dice, purché si lusinghino le sue passioni, i suoi odî, le sue paure. E’ dunque inutile cercare di restare al di qua dei limiti del verosimile: al contrario, più si mente senza ritegno, massicciamente e crudamente, più si sarà creduti e seguiti. E’ altrettanto inutile cercare di evitare la contraddizione, perché la massa non se ne accorgerà nemmeno”.
Non c’è pensiero, direbbe ancora la Arendt. E senza pensiero, la differenza tra vero e falso si fa irrilevante.
“Inutile cercare di coordinare ciò che si dice agli uni con ciò che si dice agli altri” insiste Koyré “nessuno crederà in ciò che si dice agli altri, e ciascuno crederà soltanto a ciò che si dice a lui“.
Questo, pari pari, nel 1943, è ciò che ancora oggi si dice il populismo. Se io cerco di convincere chi mi ascolta, dopo accurate ricerche confronti e colloqui, che le cose stanno in un certo modo, ebbene nessuno mi crederà. Anzi, sarò persino aggredito. Perché il populismo contemporaneo,causa la fine del pensiero, non vuole le cose in un certo modo, vuole le cose in un modo certo. E le cose in modo certo sono quelle del Potere della Comunicazione, con un tweet, che parla, o meglio cinguetta, a me, e a me soltanto.
L’idea di vivere nel mondo cosiddetto dei “personal media”, nella sostanza, è già una menzogna politica. Perché i social media, Koyré alla mano, non fanno che aggiornare tecnologicamente la struttura della comunicazione di massa già in vigore nei regimi totalitari novecenteschi. Il nazismo procedeva infatti così: non contano coerenza e coesione dei messaggi trasmessi, ciò che deve essere garantito è solo il contatto, il contatto diretto della Struttura verso il singolo. La Comunicazione nazista è già una comunicazione personalizzata.
Nei giorni della Marcia su Roma, i dintorni della città erano pieni di accampamenti di giovani fascisti che altro non aspettavano che l’ordine di fare irruzione nella capitale. Quando un giornalista si avventurò per un’inchiesta tra i ragazzi in camicia nera, non poté far altro che registrare, da tutti, la medesima convinzione: adesso comandiamo noi.
Oggi, il “Noi/Io” delle dittature novecentesche, può certo rovesciarsi nell’ “Io/Noi” del populismo contemporaneo. Ma la struttura, il paradigma comunicativo di riferimento è rimasto invariato. Sia egli l’élite del popolo (Noi/Io), sia il concentrato della moltitudine (Io/Noi), ciò che conta, come ha scritto già nel 1943 Alexandre Koyré è che “ciascuno crederà soltanto a ciò che si dice a lui“. L’uomo-massa viene fatto vivere in uno stato di eccitazione singolare permanente. La fine del pensiero. Se davvero credesse a ciò che si dice “a noi”, allora si guarderebbe intorno, e vedrebbe magari nel proprio riflesso l’allucinazione in atto. Ma se crede soltanto a ciò che si dice “a lui”, non ha bisogno di guardare da nessuna parte.
Quando in un blog, rispetto alle opinioni degli altri frequentatori, ciascuno rivendica la propria come quella giusta, solo apparentemente sta valorizzando qualcosa come il giudizio o il pensiero. Se si leggono attentamente gli interventi, ciò che effettivamente si dice è il seguente: “Le cose stanno così come dico io, perché io, ed io solo, sono in contatto con il Vero Dispositivo della Comunicazione. Io solo so, e posso, decodificare i codici di tutti i discorsi”.
Ma tale portentosa capacità ermeneutica non è frutto del pensiero, della ragione e del giudizio: è piuttosto il dono, allucinato, di sentire le voci. L’uomo-massa del populismo contemporaneo è colui che sa sentire le voci del Potere della Comunicazione. Perché l’unica cosa che conta, esattamente come nel 1943 di Koyré, è sentire la Voce che parla a te, e a te soltanto. Come la voce di Hitler parlava ai tedeschi. Uno per uno.
L’allucinazione della piccola borghesia pur sempre, nello spirito, nazi-fascista, ha abolito la figura del singolo dittatore, per concentrarsi, in tutti i sensi, sulla pura Voce. Da qui, oggi, il possibile collegamento con le funzioni distruttive del kamikaze e del serial killer, del matricida, infanticida o femminicida. Questi, tutti, sentono la Voce che parla a ciascuno, e operano immediatamente nella distruzione, obbedendo a Regole distruttive altrettanto precise. Regole che agiscono non “in un certo modo”, ma in “un modo certo”.
L’epoca della post-verità, e della post-falsità, è così l’età del trionfo delle Regole. Prima ancora che del documento, come evidenzia Maurizio Ferraris, il contemporaneo è il contesto antropologico-sociale delle Regole. Le Regole sono il codice autoritario del populismo contemporaneo. Regole che non afferiscono a un principio di verità o falsificazione. Ma a una condizione di eccitazione permanente e di esecuzione immediata.
COSE
Così inteso, conclude Koyré, “il termine massa non indica più una categoria sociale, ma una categoria intellettuale, e che i membri della massa si reclutano spesso tra i membri delle élite sociali”. Questo è un passaggio assolutamente decisivo.
Le riflessioni di Koyré, allora, ci inducono a ritenere che noi viviamo ancora nell’onda lunga lunghissima dell’antropologia totalitaria, cioè a dire del Novecento, che ha abbandonato forme dittatoriali storicamente riconoscibili, e si è puntualizzata nella Comunicazione, la Voce, come Potere Assoluto.
La Comunicazione come Potere Assoluto soddisfa tutti gli aspetti che abbiamo sommariamente estratto dal saggio di Koyré. Del punto 3, per cui
3 – Ciascuno crederà soltanto a ciò che si dice a lui“.
abbiamo già riferito.
I primi due, allora, sono:
1 – Stato di guerra normale e permanente:
le News tengono la massa degli utenti in uno stato di rischio e minaccia continui: ogni istante di una News è potenzialmente produttore di un Breaking News, con cui la “guerra”, quale virus globale, si scarica sull’utente; per “guerra” non si intendono solo gli episodi tradizionalmente riconosciuti come bellici, ma molto altro, forse tutto, crisi finanziarie, catastrofi naturali, l’innumerevole casistica della cronaca nera, la cronaca rosa trattata nel segno di una sessualità belligerante perpetua, gli eventi sportivi come battaglie di una strategia di guerra, i talk-show come scontri all’arma bianca,per non parlare infine della politica, ormai presentata senza mezzi termini nel segno del “tutti contro tutti”.
2 – Cospirazione alla luce del sole:
la Comunicazione vede complotti dappertutto, d’altronde c’è la guerra permanente, e tutti li smaschera. Grazie al potere solare della Comunicazione, ormai noi possiamo sapere tutto. E quello che ancora non sappiamo, lo sappiamo ancora di più, e meglio. Perché la Comunicazione cospira certo, ma alla luce del sole: e poiché vive nella trasparenza, dice esplicitamente di non sapere esattamente mai quello che c’è da dire.
Dice, ma non sa bene quello che ci sarebbe da dire.
Anzi, è opportuno che non lo sappia. Ciò che la Comunicazione dice effettivamente è solo l’imperativo a ascoltare, perché ciò che conta è che ci sia sempre molto altro da dire. Se non facesse così, in effetti, la Comunicazione, non potrebbe funzionare come Potere Assoluto. Totalitarismo dell’evidenza perpetua, e insieme perpetuamente differita. L’utente-massa è lusingato precisamente da questo “altro da dire”, chiaro come il sole, che si staglia autoritario come
l’esatta regolarità tra l’ “appena detto” e il “detto appena”
La Voce che filtra tra l’ “appena detto” e il “detto appena”, è quindi la Voce dettata apposta per lui. Per l’utente-massa. In questo suono distillato, preziosissimo, l’utente-massa può ascoltare il dettato della Voce, che solo a lui si rivolge, e gli detta così tutte le opinioni disponibili e da utilizzare.
Questa Regola dell’ “appena detto/detto appena”, pertanto, ha un nome, Opinionismo. L’Opinionismo è il luogo dove risulta persino lampante, come scrive Koyré, che “i membri della società di massa si reclutino tra i membri delle élite sociali”. Che significa, né più, né meno, la conclusione della funzione storica dell’intellettuale, che si immerge eccitato, senza rimpianti, in quella massa, che la Comunicazione ha provveduto a intellettualmente regolarizzare.
Oggi, così, si vive integralmente
nell’età dell’intellettualizzazione di Massa, sull’onda lunga dei regimi totalitari novecenteschi
EFFETTI
Maurizio Ferraris, nell’inserto Robinson de La Repubblica (30/04/2017), sostiene che la situazione della post-verità contemporanea è quella dell’ “atomismo di milioni di persone convinte di aver ragione non insieme (come credevano sbagliando, le chiese ideologiche del secolo scorso) ma da sole”.
Vero. Forse però la questione deve tuttavia essere precisata nel modo che segue: la post-verità è la situazione di milioni di persone le quali, ascoltando la Voce della Comunicazione dettata a ciascuno, sono convinte di aver ragione, ripetendo punto per punto il dettato della stessa Voce. La Comunicazione, così, è ancora una chiesa ideologica, perché la Comunicazione è la Totalità, e la Totalità, una volta ancora, è la Massa (si sente forse qualche parola originale, nella dimensione della post-verità?). Si tratta quindi di mettersi in ascolto della Massa, che, regole alla mano, può ormai sostenere piena funzione intellettuale, intercettare la voce che tra milioni parla e detta soltanto a te. E così puntualmente ripeterla.
Il paradosso è che questa che sembra l’età in cui nessuno ascolta, è invece l’età del massimo ascolto (l’ascolto, forse, è la condizione effettivamente documentale). La regola infatti, non è parlare, la Regola è ascoltare. La Comunicazione è infatti la Voce della Massa, ormai intellettualizzata, che parla soltanto a te. Non resta, dopo il dettato, che farne l’eco. E’ un po’ la condizione sociale, ed estetica, di ecolalia, di cui scriveva Mario Perniola in un suo libretto di qualche tempo fa: “Nel mondo attuale la circolazione delle sensologie ha preso il posto dell’attività, il rispecchiamento e l’eco del già sentito ha sostituito il pensiero” (Del sentire, Einaudi, 1991,p.90).
Solo ripetendo la Voce che si è arrivati a sentire, si può infatti incamerare la garanzia di parlare in “un modo certo”. Ma se non senti voci, e finisci con l’affidarti solo alla tua, allora non ce la potrai fare mai. Nessuna tecnologia può garantire infatti una “funzione intellettuale” autonoma, esclusiva, efficiente, senza che echi, sussurri, o grida, provenienti dalla Massa, ne regolarizzino, invece, a pieno titolo, e dettino, la Comunicazione.
Flavio De Bernardinis è docente di Analisi del linguaggio cinematografico e Storia del cinema presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Ha curato il volume 1970-1976 della Storia del cinema italiano. Tra i suoi saggi Nanni Moretti, Robert Altman, L’immagine secondo Kubrick, Arte cinematografica. Il ciclo storico del cinema da Argan a Scorsese.