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La comunicazione politica in Italia e il paradigma Matteo Renzi

illustrazione di Matteo Sarlo
parole di Flavio De Bernardinis

 

La strategia della comunicazione riguardante il soggetto politico chiamato “Matteo Renzi”, risulta del massimo interesse. Perché consente di tracciare una piccola mappa della situazione pragmatico-comunicativa del contesto storico sociale italiano contemporaneo. La recente kermesse del Partito Democratico al Lingotto di Torino non ha fatto altro che confermare l’uso inappropriato dei codici della comunicazione da parte della leadership renziana. I modelli comunicativi politici fino a non molto tempo fa attivi nel circuito sociale, sembrano improvvisamente obsoleti. Cosa è accaduto?

Quello che passa il Paese

Quello che passa il Paese, oggi, dal punto di vista della comunicazione politica, è la suddivisione del campo argomentativo in due blocchi distinti e contrapposti, che potremmo definire:

1 – Un blocco dell’auto-referenzialità;
2 – un blocco dell’etero-referenzialità.

Il primo blocco è di pertinenza, solitamente, di ciò che si dice la classe politica, ovvero, nel gergo giornalistico in tono spregiativo, la “casta”.
Il secondo blocco, invece, fa riferimento alle forze vive del Paese,  ovvero la “società civile”, che non sopportano più il metalinguaggio del “politichese”, e adottano strategie di comunicazione indirizzate alla risoluzione chiara e netta dei problemi amministrativi e sociali.
Chi adotta il modello comunicativo auto-referenziale sta particolarmente attento alla narrazione del percorso intrapreso, ossia l’origine del cammino, il più o meno tortuoso svolgimento, le conquiste fatte, le sconfitte incassate e le consapevolezze in tal modo maturate.
Chi si attiene al modello etero-referenziale, invece, non adotta alcuno schema narrativo: in sua vece, impugna saldamente il principio dell’ignoranza assoluta del passato, la negazione altrettanto radicale del presente, e il riversamento di ogni contenuto informativo sulle modalità di attuazione della sfera temporale del futuro.

Quello che non passa il Paese

Il modello auto-referenziale, ossia “narrativo”, è oggi effettivamente perdente. Parafrasando la celebre formula di Lyotard, non solo sono cadute le cosiddette grandi narrazioni, ma la modalità stessa della narrazione, risulta ormai implosa e compromessa. Oggi vige l’assioma per cui, ogni “racconto” è irrevocabilmente il luogo di una menzogna. Ogni narrazione viene percepita da subito come furbescamente contro-fattuale. Le riforme istituzionali sono ciò che la Nazione ha sempre desiderato, è un contenuto narrativo che viene allora decodificato così: la Nazione non ha mai desiderato, e nemmeno desidera, alcuna riforma istituzionale.
Il modello comunicativo vincente, e dominante, è invece l’altro, quello etero-referenziale, ovvero il modello in cui ogni narrazione è condotta ad annullarsi immediatamente in ciò che si dice la “realtà quotidiana e vissuta”. Secondo il modello, non esistono “progetti”, esistono solo “cose” e “fatti”. Aveva allora forse ragione Argan, quando, già negli anni ’60, sottolineava come la “civiltà tecnologica” avesse provveduto alla definitiva liquidazione della modalità del “progetto”. In altri termini, egli scriveva, in una società ad alto tasso di tecnologia, ogni “progetto” è già inequivocabilmente un “fatto”, qualcosa che per il semplice “fatto”, appunto, di essere pensato e prodotto, risulta come “già compreso ed esaurito” nella realtà quotidiana, in cui ogni prototipo altro non è che la figura esemplare della standardizzazione in atto.
Proprio quello che sta accadendo oggi nel contesto della comunicazione politica e sociale. Dove ogni “progetto” deve essere immediatamente negato, perché esaurito in partenza nella standardizzazione di qualsiasi “contenuto informativo” che, se pretende di innovare e cambiare, deve per forza assumere un aspetto anche “teorico”, ossia in qualche modo auto-referenziale.
In sostanza, qualunque “progetto politico”, o anche semplicemente “amministrativo”, che sulla mappa della comunicazione contemporanea contenga un coefficiente chiaro e netto di innovatività, è escluso dal modello dominante, perché riferibile drasticamente al modello subordinato. Un contenuto informativo originale presuppone un aspetto auto-referenziale del messaggio, in cui si tracciano le ragioni del “nuovo” che si intende prospettare e proporre. Ciò produce un immediato rifiuto del messaggio stesso, come è avvenuto nel caso del referendum istituzionale 2016.
La strategia comunicativa contemporanea escluderebbe allora ogni elemento di auto-riflessività del linguaggio, in favore di una pura e semplice pragmatica elementare del testo, ossia l’esecuzione immediata di un contenuto a tasso minimo di informazione, per esempio il “no”.

Quello che passa in Paese

Domenica 12 marzo, è uscita la notizia che alcuni cittadini di Roma hanno impegnato il proprio tempo libero a ripulire le strade, i passaggi, le zone di transito e sosta della città. Tra questi, il noto cantautore Francesco De Gregori. Il tg regionale della televisione di Stato ha dedicato un servizio all’accaduto, intervistando alcuni dei protagonisti. L’ultima a parlare è stata una signora la quale, alla domanda se non fosse anche compito degli amministratori tenere pulita la città, ha replicato come ciò non risultasse motivo sufficiente a far sì che il cittadino non risolva di impugnare un rastrello, e provvedere, nei suoi limiti, a raschiare il marciapiede. Anzi, ha concluso la signora, a di là dei doveri degli amministratori, è anche “giusto” e “opportuno” che il cittadino comunque faccia la sua parte.
Questo elogio alla buona volontà è esemplare. Ogni “progetto” deve dismettere la propria carica di ricomposizione delle strategie comunicative e sociali, per dedicarsi esclusivamente all’aspetto pragmatico, ossia alla esecuzione pura e semplice di uno stato di necessità. Ogni progetto, in altre parole, deve annullarsi immediatamente in un “gesto”. Tale gesto, in effetti, non contiene alcun progetto: è del tutto normale che un cittadino scenda al portone di casa e pulisca il selciato. Il messaggio da decodificare, in questo caso, è “sì”. Occorre pulire le strade? Sì. Lo facciamo? Sì.
Non è irrilevante la figura del cantautore Francesco De Gregori, che va a ricoprire il ruolo di “intellettuale organico” dell’iniziativa. Un intellettuale organico non più al partito, come in passato, ma alla società civile. Intellettuale che non parla (De Gregori non ha voluto rilasciare dichiarazioni sulla questione), ma “fa”. L’intellettuale di partito, parla, e se parla intende in effetti subdolamente auto-promuoversi. Mentre l’intellettuale della società civile, esegue, e se esegue rientra bene nel modello della etero-referenzialità, che prevede il contenuto informativo del messaggio immediatamente realizzato nell’ambito del fare.

Quello che passa

Tiriamo le somme. Ciò che si produce, quello che passa è certamente un circolo vizioso della comunicazione. L’auto-referenzialità della strategia comunicativa adottata dal soggetto chiamato Matteo Renzi riguarda un contenuto narrativo che si manifesta come caparbiamente etero-referenziale, ossia le riforme istituzionali. L’etero-referenzialità della strategia comunicativa del soggetto chiamato “società civile” riguarda un contenuto informativo/pragmatico che si mostra come rigidamente auto-referenziale, ossia la non disponibilità a spiegare, e quindi ascoltare.
In tale circolo vizioso della strategia comunicativa dominante contemporanea, più che nell’eventualità ludica e furbesca del fake, risiede la condizione della post-verità. La post-verità si articola infatti nella contraddizione enunciata. Una etero-referenzialità decodificata come auto-referenzialità, nel caso di Renzi, e, inversamente, una auto-referenzialità decodificata come etero-referenzialità, nel caso della società civile.
La società civile si mostra immediatamente aperta alla realtà, pronta a spazzare strade e marciapiedi, senza corredare l’evento di alcuna narrazione. Matteo Renzi viceversa apparecchia una narrazione compresa del proprio ruolo di progetto di riforma istituzionale, e il tutto si decodifica come un gesto evidentemente auto-promozionale.
Il dato veramente cruciale, allora, per una mappa delle strategie comunicative contemporanee, è che ogni narrazione si presenta ormai come esclusivamente auto-referenziale. La crisi attuale della “forma-partito” passa anche di qui, poiché essa è legata in maniera indissolubile alla modalità comunicativa della narrazione.
Sembrerebbe, in fine, che la società civile contemporanea, e il Movimento che afferma di rappresentarla in pieno, siano un luogo dove non ci sono narrazioni ma puri e semplici atti linguistici dal contenuto radicalmente performativo. Abolendo la modalità della narrazione e del ricorso all’auto-riflessività del linguaggio, la società civile non ha nulla da raccontare e da spiegare, e invece tutto da dire ed eseguire.
D’altra parte, ogni caso di etero-referenzialità in accezione davvero radicale, Nietzsche alla mano, è una allucinata forma di Trascendenza.


Flavio De Bernardinis è docente di Analisi del linguaggio cinematografico e Storia del cinema presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Ha curato il volume 1970-1976 della Storia del cinema italiano. Tra i suoi saggi Nanni Moretti, Robert Altman, L’immagine secondo Kubrick. È in uscita Arte cinematografica. Il ciclo storico del cinema da Argan a Scorsese

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