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Joker (Torrance): Il televisivo come categoria esclusiva del vivere

illustrazione e parole di Matteo Sarlo

chi cammina sulla testa,
costui ha il cielo come abisso sotto di sé
Paul Celan

 

Domanda facile: Joker di Todd Phillips è un film sui supereroi? No, Joker di Todd Phillips non è un film di supereroi – niente Thanos, Tony Stark, Loki e via discorrendo.

Domanda trabocchetto: Joker di Todd Phillips è un film sulla rivalsa dell’elemento anarchico-rivoluzionario contro lo status quo (o per dirla nei termini di oggi, di una maggioranza popolare/populista contro il potere delle élite incarnate naturalmente nella famiglia dei Wayne)? Nemmeno, Joker di Todd Phillips ne rappresenta anzi una sua esaltazione. Arthur Flerck/Joker non è un anarchico, un villain, il rivoluzionario che lotta contro lo status quo (di cui Batman sarebbe il reazionario difensore). Non che non lo sia per ideologia, semplicemente non gli interessa. Al contrario è un fan del capitalismo, un prodotto del televisivo, il figlio adottato del sistema. La sua lotta? Non distruggerlo, ma farne parte.

Corollario alla domanda trabocchetto: Joker di Todd Phillips è la versione capitalista di Marvelous Mrs. Maisel? Esattamente, tanto quanto Alex è la versione “a grado zero snoberia” di Miriam. Entrambi (Miriam e Alex) desiderano diventare stand-up comedian. Ed entrambi guardano al televisivo come punto di arrivo. Ma partendo da posizioni opposte: l’una considera la stand-up e la televisione per il suo potere disvelante ed emancipatorio (che è il sogno alto della televisione, della trasparenza della diretta contro i vecchi formalismi dell’alta e colta società ebrea dell’Upper West Side), l’altro considera la televisione per il suo elemento coprente e illusorio (che è poi quello che la televisione finisce per essere: un mondo letteralmente sopra, o al posto di, un altro mondo). E in questo senso il put on a happy face (jingle di Dick van Dyke, showman) vale molto più per il verbo che per il sostantivo: non è tanto questione di sorriso quanto di qualcosa che si mette sopra, che sta al posto di, a qualcos’altro.

Domanda conclusiva: Cos’è allora Joker di Todd Phillips? Quasi quarant’anni dopo, Todd Phillips ha girato di nuovo Shining. E l’ha chiamato Joker.

La fotografia come categoria

Quando Jack Nicholson fu intervistato da Jan Harlan, rilasciò la seguente dichiarazione: «Ai tempi di Shining, Stanley mi fece questa confessione: Caro Jack, fare un film non è fotografare la realtà, ma fotografare la fotografia della realtà». Con tutta evidenza quella che Kubrik fornisce è una definizione del cinema, e ha a che fare non con il movimento ma con il “congelamento” di istantanee. Non a caso il film si chiude in una freeze-frame su Jack Torrance nel labirinto dell’Overlook Hotel, letteralmente quindi “congelato” dall’immagine. Immediatamente dopo la steady procede lungo il corridoio verso la Gold Room. Sulla parete sono raffigurate istantanee in bianco e nero e al centro della collezione Jack dentro la fotografia. Ritorna allora il suggerimento che Halloran, il cuoco nero, aveva dato a Danny: «sono (riferito ai fantasmi) come immagini in un libro». E in effetti tutto l’Overlook Hotel sarebbe un grande album fotografico e le istantanee delle porte spaziotemporali. Questo da un punto di vista narrativo. Da un punto di vista estetico, il cinema regredisce a immagine bloccata e ritorna all’origine dalla quale proviene. Il che equivale a dire, considerare la fotografa come categoria principale del vivere.

Nel processo di regressione al fotografico, Jack Torrance subisce così una necessaria metamorfosi dimensionale:finendo per fare esattamente la figura di Willy il Coyote nella lunga rincorsa all’interno del labirinto, Jack Torrance si trasforma in un cartoon. Del resto tutto Shining è disseminato di indizi: l’adesivo di Snoopy sulla porta della cameretta di Danny, il verso alla Donald Duck di Halloran etc…

Il televisivo come categoria

Esattamente come Kubrick, Todd Philips stabilisce una categoria esclusiva: il televisivo. Quello che la fotografia è per Jack e il musical per Elisa Esposito (Sally Hawkins in la forma dell’acqua), la stand-up commedy è per Arthur Flack. Il suo mito? Franklin Murray, showman e calco di David Letterman.

Arthur vive ancora con la madre. In una delle sequenze iniziali guardano insieme il Franklin Murray Show. Arthur sta davanti al televisore e immediatamente si trova dentro lo schermo, tra il pubblico dello studio.  Sul piano narrativo tutto è spiegato dalla malattia mentale di Arthur. Sul piano estetico Arthur si trova davanti ad una porta che permette il salto spaziale: il televisore al posto dello scatto fotografico. Da qui iniziano una serie di sfasamenti percettivi (che accomunano la pellicola di Philips a quella di Kubrik e tra i quali quello che riguarda la vicina di casa Sophie rappresenta il caso emblematico) che fanno parte di una precisa metamorfosi, scandita in tre grandi tappe: 1. il bagno, 2. l’ospedale, 3. le scale. Che coincidono con:

 

L’inizio: Arthur torna a casa dal lavoro. È vestito da clown. Tre yuppie lo prendono di mira, lo buttano a terra ma Flack tira fuori la pistola e ne ammazza due. Poi segue il terzo, colpito a una gamba, fin fuori dal vagone. Più colpi di pistola, ucciso anche l’ultimo. Dopodiché Arthur entra in un bagno pubblico, e balla. Inizia la metamorfosi.

La consapevolezza: Arthru si reca all’Arkaham Asylum e scopre che la madre soffriva di disturbi psichici, che lo aveva adottato da piccolo, e che ha lasciato che il suo ex compagno abusasse ripetutamente di lui, causando lo stato mentale in cui si trova ora. Arthur Flack si rende conto dello sdoppiamento di mondo. La metamorfosi continua.

Il compimento: Arthur uccide la madre in ospedale e l’ex collega clown. Prima di andare al Murray, balla sulle scale. Prima di entrare in scena, balla dietro il set. È pronto, è truccato, è Joker. La metamorfosi è compiuta.

Dal primo (plurimo) omicidio dei tre broker in metro all’omicidio della madre in ospedale a quello dell’ex collega clown, Arthur attraversa lo stesso processo di metamorfosi dimensionale di Jack, segnalato ad ogni tappa dal ballo-jingle (per ricapitolare, nel bagno dopo aver ucciso gli yuppie, a casa davanti al televisore, sulle scale per strada dopo aver ucciso il suo ex collega).

La conferma letterale arriva con la chiamata dal Frankly Murray Show: Arthur Flack sarà ospite di una puntata. Dopo averlo visto, sognato, registrato, archiviato. Arthur può fare solo una cosa allora: mettere su la cassetta e studiare. Come l’ospite entra in scena, come accavalla le gambe, in che punto inclina la testa, con che tono si rivolge a Murray. Deve a tutti gli effetti trasformarsi, entrare in un’altra dimensione. Il televisore è uno stargate, lo show il suo pianeta d’origine.

Addio, Arthur Fleck

Arthur Fleck in Joker diventa così un’interfaccia del mondo in 2D. Da uomo complesso, problematico, debole e con il solo desiderio di essere integrato nel sistema (non di farlo saltare come un vendicatore anarchico), a cartoon che rinuncia alla realtà: meglio procedere per sostituzione.

A questo punto il mondo si trasforma nello spazio di un corridoio, con schermo sulla parete lontana. Arthur è in ospedale. Entra in scena da sinistra, inseguito da una guardia, e scompare a destra. Arthur è davanti alla guardia. Dopodiché ricompare da destra e riscompare da sinistra. Arthur è ancora davanti alla guardia. La fisica è ormai quella bidimensionale di gatto Silvestro e Titti. Addio Arthur Fleck, welcome Joker.

Matteo Sarlo è nato a Roma nel 1989, dove vive e lavora come editor.
Nel 2018 ha pubblicato Pro und Contra. Anders e Kafka, una riflessione sulla filosofia di Günther Anders interprete di Franz Kafka.
Ha scritto per diverse riviste filosofiche, di critica cinematografica, viaggi, cronaca e narrativa urbana.

Matteo:
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