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In Memoria di Nelson Mandela, ovvero come vivere abbastanza a lungo da diventare Pop.
19/07/2018|L'ANALISI

In Memoria di Nelson Mandela, ovvero come vivere abbastanza a lungo da diventare Pop.

In Memoria di Nelson Mandela,  ovvero come vivere abbastanza a lungo da diventare Pop.
illustrazione di Matteo Sarlo
parole di Tiziano Cancelli

Ieri mattina Facebook ci ha svegliati con un memoriale importante, quello per il centenario di Nelson Mandela. Un bel video animato, il pugno chiuso ma rigorosamente del braccio sbagliato, tanti fiori, effetto dissolvenza. Mandela, o meglio quello che ne è rimasto, ha animato le bacheche di milioni di utenti in tutto il mondo, celebrando l’ennesimo qualcosa-day.

Quello che colpisce, nonostante ormai ci si sia abituati alla costante rivalutazione in salsa pop-liberale di icone del passato (che di pop-liberale, naturalmente, non avevano un bel niente) è la nonchalance con la quale il realismo capitalista riesce a sussumere concetti, persone e simboli che si situano agli antipodi della sua narrazione.

Mandela nasce, per chi ha memoria corta, come rivoluzionario; e non un rivoluzionario qualsiasi, generico ed aleatorio, come è prassi descrivere la figura del ribelle nella post-modernità, ma come un vero e proprio comunista combattente, membro del PCA, Partito Comunista Africano. Già questo provoca una sorta di glitch nella narrazione: Facebook che elogia la nascita di un comunista combattente, un marxista leninista, per di più proveniente da un paese africano. La stessa Africa che viene brutalizzata per estrarre il Coltan, minerale indispensabile alla produzione dei dispositivi usati dagli utenti di tutto il mondo per usufruire dei servizi erogati da Zuck e la sua comitiva della Silicon Valley. Come descrivere un sistema che pur di trovare il feticcio del giorno, arriva a reinterpretare in chiave funzionale anche i suoi oppositori? Probabilmente come un sistema infido, fraudolento e menzognero. Niente di più lontano dalla verità.

La schizofrenia suggerita da uno stravolgimento così plateale della funzione simbolica, a ben vedere, non nasconde alcuna menzogna, né alcuna narrazione fraudolenta. Il punto è un altro. Ciò che Facebook mostra ancora una volta, questa volta con il Mandela Day, è qualcosa di più inquietante della semplice riappropriazione indebita di una delle tante storie di opposizione. Facebook evidenzia esattamente quello che Google suggerisce a fianco quando si scrive Jaques Lacan nella barra della ricerca:: il rapporto completamente arbitrario che intercorre fra significante e significato. Il primo è un segno vuoto, che acquista valore unicamente nella correlazione con altri significati, all’interno di quella catena significativa che è l’ordine simbolico. Ergo se sei Zucck e giochi al piccolo chimico reinterpretando a piacimento i significati delle immagini e delle parole grazie al social network che hai fondato, puoi permetterti di dire a questo punto senza trucco né inganno che Nelson Mandela era un esempio da seguire, senza doverne trarre nessuna conseguenza logica, senza doverti esporre al giusto risultato di questa affermazione.
In un altra linea temporale non sarebbe stato possibile per un giovane manager multimilionario inneggiare indirettamente alla dittatura del proletariato senza subire il pubblico linciaggio.

L’inquietudine nasce dunque dalla consapevolezza della completa arbitrarietà dei simboli, dei significati e in ultimo della parole alla quale siamo continuamente esposti in quel grande bazaar che è la internet culture. Non che questo sia un buon motivo per rimpiangere la durezza e l’inamovibilità della filosofia tomistica, o per cadere magari preda di qualche rigurgito reazionario e fascista in cui si poteva comunque sempre contare sulle mezze stagioni e l’arrivo dei treni in orario, ma comunque è forse un buon motivo per essere tristi. La confusione dei significati sembra coincidere a tratti con la malattia del secolo, la perdita degli orizzonti di speranza; in uno scenario in cui non siamo più nemmeno d’accordo su chi era realmente Nelson Mandela, appare difficile trovare una quadra su temi come il lavoro, l’immigrazione e il welfare state.

Va comunque detto che l’operazione nostalgia è più facile laddove ci sia già una buona base di partenza. Mandela, nel caso specifico, è un personaggio che si presta perfettamente a questo tipo di restyling neoliberale: le ultime vicende delle sua storia politica e privata nascondono luci ed ombre. Una carriera politica post-apartheid in perfetta sintonia con le grandi nazioni occidentali che solo qualche decennio prima erano i principali sponsor dei regimi di segregazione messi in atto nei confronti delle popolazioni africane. Su questo punto, tanto per rimanere in orizzonti lacaniani, ha già detto tutto Žižek in un editoriale uscito in occasione dei funerali di Mandela che, è bene ricordare, furono tenuti in pompa magna alla presenza dei leader di mezzo mondo.

In conclusione la morale della favola in questo caso risulta doppia e può essere riassunta citando Batman: o muori da eroe, o vivi abbastanza a lungo da diventare materiale per l’iperstizione malefica della Silicon Valley.
Nel secondo caso, benvenuto in una valle di lacrime.


Tiziano Cancelli è laureato in Filosofia all’università La Sapienza di Roma. Scrive di politica, cultura e nuove tecnologie. Frequenta il master di secondo livello Big Data, innovazioni, regole, persone. Ascolta Black Metal e sta ancora cercando la pietra filosofale.

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