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25/07/2018|L'ANALISI

 

 

Hook – Capitano Uncino

l’isola che non c’è

come metafora del

Cinema

illustrazione di Michel Chabaneau parole di Matteo Sarlo

  Al di là di rufiooooo, che statisticamente è la prima cosa che passa per la mente di chiunque non appena gli nomini Peter Pan quello con Robin Williams – lo so, non è una cosa giusta ma tant’è –, e superando il fatto  – corollario – che he poi te lo devi pure sciroppare cantilenato ru – fi – oooooo dall’amico a cui avevi iniziato a parlare del film, gli ultimi venti minuti Hook- Capitano uncino sono un capolavoro. Perché sono un capolavoro? Non è tanto una questione di film riuscito o no, film che funziona o no. Sono un capolavoro perché Spielberg spinge ai massimi la struttura portante di tutto il film e di quella che una volta si sarebbe chiamata “la sua poetica” – lo so è un po’ da zie, ma è quella roba là –, e cioè la sovrapposizione tra fiction di grado 1 e fiction di grado 2. Fiction di grado 1 Hook è la storia di Peter Banning, avvocato e AD di un importante società di fusioni e acquisizioni. In occasione di una serata in onore di Wendy Angela Darling, la donna che lo ha adottato, accudito e cresciuto, vola a Londra con moglie (Moira) e i due figli (Jack e Maggie). Peter Banning è un iperconnesso ante litteram. Fortuna che siamo negli anni Novanta perché se avesse avuto Facebook o WatsApp non l’avresti scollato di lì – calzamaglia e pensieri felici un corno. Si tratta del tipico uomo d’azienda: squalo nel suo lavoro e pieno di fobie nella realtà. Una famiglia che vizia finanziariamente ma a cui non presta alcun altro tipo di attenzione. La storia di Hook all’interno della fiction 1 è allora una roba tipo The Family Man: un uomo “realizzato” negli affari subisce un’epifania valoriale e da quel momento scopre le cose che davvero valgono nella vita. Fiction di grado 2 È la storia di Peter Pan, incapsulata nella storia di Peter Banning. La sequenza che funziona da innesco è costruita in montaggio alternato tra la festa e la casa. Quando rientrano dalla festa, affissa sulla porta della cameretta con un coltello da pirata, la lettera di Giacomo Uncino: se rivuoi i tuoi figli, combatti la tua guerra. Non era proprio così, ma insomma la questione è questa: Peter li rivuole? Allora deve accettare di battersi.
Goodbye London Come ogni persona sana di mente, Banning denuncia il rapimento dei figli agli agenti di New Scotland Yard senza stare a pensare a isole e pirati. L’ipotesi principale è quella di un specie di sadico scherzo, dati i precedenti letterari della famiglia: il vicino di casa Darling era un certo J.M. Barrie. E qui stiamo sulla fiction di grado 1. Poi Banning si fa un bicchierino in camera dei ragazzi, e come sempre accade l’alcol diventa la motivazione per un brusco cambio di scena, la giustificazione per una sequenza anomala, irreale, che non sarebbe giustificata da un punto di vista strettamente causale. Perciò la regola è: un personaggio beve, fatti suonare i campanelli. E qui i campanelli suonano per davvero, perché piomba nella stanza Campanellino. Fiction di grado 2.
Peter Banning beve alla finestra
Dopo aver pensato – fiction di grado 1 – ad una specie di allucinazione da complesso freudiano legata in qualche modo alla madre, ubriaco come uno straccio, Peter viene infagottato in un lenzuolo e portato nell’isola che non c’è. Da questo momento in poi si inverte il meccanismo: la fiction di grado 2 incapsula la fiction di grado 1.
Peter viene portato sull’Isola che non c’è
 Banning Vs Uncino [Parte 1] Al contrario di quanto possa apparire, il film non è costruito su una spaccatura: da una parte Londra/realtà e dall’altra l’Isola che non c’è/fantasia. Cioè non è costruito sul modello di Matrix: da una parte il mondo delle macchine/realtà e dall’altra New York/finzione. No, tutto Hook è un gioco di incapsulamenti dell’uno nell’altro. E per questo non è un film kantiano, costruito sulla separazione del mondo vero e del mondo apparente. Tralasciando il fatto che la voce del pilota dell’aereo che porta la famiglia Banning a Londra è quella del capitano Uncino, instaurando subito la secolare sovrapposizione metaforico-lessicale Pilota d’aereo / Capitano della ciurma e Volo / Ingresso nel mondo della fantasia, il primo scontro dialettico tra il nemico per antonomasia e Banning (ancora Banning) ne è la testimonianza più evidente.  

Uncino Coraggio Peter, sfodera le tue armi

Peter d’accordo.

Tira fuori il libretto degli assegni

Quanto facciamo?

Il primo duello
Poi, Uncino non è uno che si metta lì a discutere. Allora prende e buca il libretto d’assegni con un colpo di pistola, uccidendo il malcapitato che ha avuto solo la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il pirata, lo sciacallo, lo squalo d’azienda contro il nostromo di Barbanera, l’unico che Long John Silver abbia mai temuto, il pirata reale. Che gusto ci sarebbe ad ottenere una vittoria tanto facile contro un uomo imbolsito e, per dirla con Spugna, «avvocatizzato nella mente»? Tre giorni allora. Tre giorni per ritornare ad essere Peter Pan e combattere una vera guerra. Banning Vs Uncino [Parte 2] Banning è diventato Pan, sul campo di battaglia è caduto Rufio ma l’esercito dei bambini sperduti ha vinto contro la ciurma dei vecchi pirati. Ma la guerra non è finita e lo scontro che ne determinerà l’esito è quello tutto individuale, esemplare, lirico, tra il Capitano e un ritrovato Peter Pan.
Il duello finale
Uno combatte seriamente, con l’intensità dell’epica e il rigore dell’onore, l’altro scherza e deride. Una cosa come se Zinedine Zidane avesse sfidato Ronaldinho e la gara è a chi fa più tunnel. La partita sembra tutta in mano a quest’ultimo quando Uncino rovescia i rapporti e sferra il suo attacco più potente. Capsula 1; capsula 2.
Uncino sta per vincere

Uncino Lo sai che non sei veramente Peter Pan vero? Questo è soltanto un sogno. Quando ti sveglierai sarai solo Peter Banning, un uomo insensibile ed egoista che beve troppo, ossessionato dal successo e che non ha mai tempo per la moglie e i figli.

 

Gli ultimi 20 minuti Da qui partono gli ultimi 20 minuti di Hook. Qual è la strategia di Uncino? Qual è il colpo che tira fuori all’ottantanovesimo? Ricordare a Banning la realtà, cioè la fiction di grado 1. Fare tabula rasa di tutto il resto, che è quello che rende la fiction di grado 1 accettabile e che, in un cortocircuito autolesionistico, è poi il suo mondo. Cioè Uncino sta giocando a fare il gemello cattivo di Kant: esiste solo il Reale/Noumeno e qualsiasi tipo di schermo/schermatura è soltanto un sogno. Cattivo, perché persino lo schermo delle categorie diventa inutile. Rischiare tutto, per vincere tutto. Questo tipo di meccanismo è azzerante, perché si tratta di instillare l’idea di un nichilismo assoluto. L’idea che non c’è nessuna redenzione dal deserto dell’immaginario. Ma qui sta la differenza tra Kant e Hegel. Peter sente le voci dei bambini sperduti che affermano di credere in lui, si alza, sconfigge uncino, riporta i bambini a casa e lascia l’isola che non c’è. Ma non senza averne incorporato lo spirito. La struttura del film è infatti tipicamente hegeliana: Peter Banning prima di ricordare di essere Peter Pan = PB in sé Peter Banning che ricorda di essere Peter Pan sull’isola che non c’è: PB per sé Peter Banning che ricorda di essere Peter Pan tornato a Londra = PB in sé e per sé La confessione Peter si sveglia nel giardino di casa. Il sottotesto è ovviamente che lui si sia preso una bella sbronza. Naturalmente le cose sono andate così. Poi sente un tintinnio e pensa a Trilli. Ma scopre che è il suono prodotto dalle bottiglie di vetro spostate da uno spazzino. Alza la testa, lo spazzino è Spugna che gli fa la solita battuta maschilista e cameratesca: «qualche noia con la signora moglie? vedrai quando torni a casa». È evidente allora che tutto è stato una “proiezione”. Poi un bagliore. E questa volta è davvero Julia Roberts/Campanellino, seduta sulla spalla della statua di Peter Pan:

Trilli Dillo Peter, dillo seriamente

Peter Banning Io credo nelle fate

Trilli Sai quel luogo che sta tra il sogno e la veglia, dove ti ricordi ancora che stavi sognando? Quello è il luogo dove io ti amerò sempre, Peter Pan. È lì che ti aspetterò.

Trilli confessa il suo amore a Peter
Poi Trilli scompare. Nella fiction di grado 1 la sua luce è naturalmente quella del sole che albeggia e lei il frutto del post-sbornia. Ma nella fiction di grado 2 tutto il viaggio è esistito davvero. Lo “schermo/schermatura” al deserto del Reale. Trilli sostiene di amare Peter Pan in quel punto di intersezione tra sogno e veglia. E cioè la definizione di cinema. La confessione d’amore allora è (anche) quella di Spielberg per il cinema e tutto Hook è un elogio alla macchina dei sogni. Già la macchina, la produzione, il grande ingranaggio. Perché serve l’artificio, per poter sognare.
Matteo Sarlo ha scritto per diverse riviste filosofiche, di critica cinematografica, viaggi, cronaca e narrativa urbana. Nel 2018 ha pubblicato Pro und Contra. Anders e Kafka.
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