illustrazione di Matteo Sarlo
parole di Luciano De Fiore
Sono determinato a difendere a fucilate la mia proprietà: casa mia, la mia macchina in garage, “mia” moglie. Francesco Facchinetti, DJ Francesco, ha reagito così su Facebook quando suo padre Roby, componente dei Pooh, ha subìto un furto in casa, in pieno giorno: «Mi compro un arsenale, chi entra in casa mia non esce vivo».
All’americana, viene detto. A dire il vero, non è proprio così: negli USA si ha diritto ad impiegare una “ragionevole dose di forza” per proteggere sé stessi e gli altri, non le cose. Nella maggioranza degli stati non si possono difendere con la violenza le cose che si hanno. L’unica proprietà che si può difendere con la forza, praticamente in ogni stato, è la casa in cui si abita. DJ Francesco e chi la pensa come lui vorrebbe poter decidere se accogliere con un kalashnikov un ladro che si avventurasse sul prato del giardino.
Ma della nostra propria vita chi decide? In Italia non posso decidere del mio corpo. Anche quando è offeso da una malattia irreversibile e dolorosa. Anche se so che non potrò più alzarmi da questo letto di sofferenza. Nessuno potrà liberarmene. Nemmeno io. Anche se la morte è sempre la mia morte, morte che io devo morire e che nessuno può morire al mio posto.
Sembrano queste le preferenze della maggioranza degli italiani, in questi giorni. Dipende dal tasso d’insicurezza percepito, ci spiegano. Che poco ha a che vedere con le statistiche che invece, da quasi vent’anni, fotografano un calo tendenziale nei delitti in Italia: nel 2016 un meno 10,6% di rapine rispetto all’anno precedente ed un meno 4,5% della delittuosità in generale. L’indice d’insicurezza reale in Italia, dati alla mano, è migliore rispetto a Gran Bretagna, Francia e Germania, oltre che ovviamente agli Stati Uniti, paradiso delle armi. Eppure, sui giornali di destra l’eroe del giorno è l’oste che ha sparato al rumeno che gli era entrato dabbasso.
Intanto non si sono spente le critiche ad un altro DJ, DJ Fabo, che ha scelto di interrompere la sua non-vita, il quarantenne cieco e tetraplegico che il 27 febbraio è morto in Svizzera, avendo scelto il suicidio assistito. Mentre un trafiletto basta e avanza per dar conto della (non) discussione in Parlamento sulla proposta di legge sul fine vita. Diserzione e disinteresse di massa. Se ne è accorto, tra i pochi, Monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana: «Mentre siamo tutti qui a parlare di vita e di fine vita, mentre continuano a dirci che l’Italia è spaccata in due su questo delicatissimo argomento, alla Camera inizia la discussione della legge sul fine vita, facendo registrare la presenza, dicono, di poco più che una ventina di parlamentari. Ben più numerosi sono invece quelli accomodati a discuterne nei diversi studi televisivi del Paese». Non a caso, la parrocchia milanese di Sant’Ildefonso ha accolto una veglia per ricordare Fabo.
Di cosa stiamo parlando? Passasse la legge, grazie alle DAT (Dichiarazioni Anticipate di Trattamento) un maggiorenne nel pieno delle proprie facoltà, o un minore o incapace per il quale potranno esprimersi i genitori o il tutore, potrà lasciar scritte le proprie preferenze in tema di consenso o rifiuto delle scelte diagnostiche e terapeutiche. I sanitari saranno tenuti al rispetto assoluto delle DAT. In altri termini, ognuno avrà il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi trattamento, comprese nutrizione e idratazione artificiali, revocando in qualsiasi momento il consenso inizialmente concesso. I curanti non potranno far altro che rispettare le volontà espresse, e quindi ovviamente anche interrompendo le cure saranno esenti da responsabilità civile o penale.
Passerà mai questa proposta di legge? Fosse approvata, superati i circa 250 emendamenti proposti, non ci sarebbe più bisogno di un mesto e costoso viaggio in Svizzera. Né di tirarsi un colpo in testa, o di acquistare un kit della buona morte, di cui ha parlato con sobrietà Corrado Augias. Sarebbe un passo in avanti sul piano civile, che allineerebbe il nostro Paese alla maggioranza delle nazioni europee.
Ma come sta insieme questo auspicato progresso con le dichiarazioni di DJ Francesco ed altri esagitati? Matteo Salvini è corso a cena dall’oste che ha sparato al ladro: «Io sto con chi si difende». Senza se e senza ma, aggiungono con cipiglio.
Davvero è così facile, scegliere da che parte stare? È sempre così semplice? Non per incasinare le cose, ma basta attivare qualche memoria scolastica, se si è fatto un buon liceo, per rammentarsi che il dibattito – oh yes – su questo argomento è vasto e ben frequentato. E che le posizioni sono sfaccettate. E che trovi su una sponda chi, magari, ti aspettavi di trovare sull’altra. Per esempio? Per esempio Hegel.
Lo Hegel teorico del Notrecht, del diritto che deriva dal bisogno estremo di conservare la vita, tiene in grande considerazione i dati economici e sociali che caratterizzavano la Francia degli anni della Rivoluzione. L’affermazione famosa delle Lezioni di filosofia del diritto per cui «l’uomo che muore di fame ha il diritto assoluto di violare la proprietà di un altro», è nella sostanza replicata anche nei più coperti Lineamenti, a chiudere la sezione dedicata all’intenzione ed allo star bene (Wohl). Per chi vede minacciata la propria zoè (l’esistenza personale in quanto vita, vale a dire «la particolarità degli interessi della volontà naturale raccolti nella loro semplice totalità»), la proprietà altrui non può costituire un impedimento assoluto:
Questa, nell’estremo pericolo [in der letzen Gefahr] e nella collisione con la proprietà giuridica d’un altro, ha un diritto necessitato [ein Notrecht] (non in quanto equità, ma in quanto diritto) da pretendere, dal momento che, da un lato, sta l’infinita violazione dell’esistenza e con ciò la totale mancanza di diritto, e, dall’altro lato, soltanto la violazione di un singolo limitato darsi (Daseins) della libertà, con il che è, in pari tempo, riconosciuto il diritto come tale e la capacità giuridica di colui che è leso soltanto in questa proprietà.
Nella nota riesce ad essere ancor più tagliente:
Vivere ha anche un vero diritto rispetto al diritto formale, cioè un momento assoluto», in quanto la vita «è il lato reale della personalità stessa, è qualcosa di determinato in sé e per sé, non un’opinione.- Lo star bene è parola astratta – Star bene non è in una cosa – ma vivere in una circostanza, in un momento.
Chiaro? Star bene significa qui innanzitutto vivere, mantenersi vivi. Rispetto a questo diritto assoluto, il diritto di proprietà non può non cedere il passo, apparendo come un diritto secondo, per quanto rilevante. Difficile non notare l’assonanza con la tradizione democratica rousseauiana-giacobina: Robespierre tra i diritti dell’uomo cita proprio il diritto alla vita, considerato anzi il diritto essenziale. Il che marca anche la distanza che distingue e separa Hegel dalla tradizione liberale: il diritto alla vita rinvia infatti alla libertà positiva, non alla libertà negativa. Tanto è vero che il diritto alla vita è stato a lungo ignorato dalla tradizione liberale. Mentre proprio nei Lineamenti, nell’opera hegeliana che Ilting considera come la più prudente, è messo a tema il diritto alla proprietà innanzitutto del proprio corpo e della vita: ‘Io sono Mio’, anima e corpo. Se si fa violenza al corpo di una persona, si usa violenza alla persona nel suo complesso. Il che vale sempre, anche nel caso di un terzo: ‘Lui è Suo’, allo stesso titolo.
Hegel è solo un esempio. La filosofia è piena di rompiscatole che complicano la vita. Per fortuna. Perché aiutano a considerare le situazioni nel loro intrico. Che fa sì che non sia semplice giudicare. Né premere il grilletto. Perché, ammesso non si abbia scrupoli nel far male ad una persona, non posso sapere cosa motiva in ultimo chi mi entra in casa. Certo, c’è modo di discriminare: un conto è una banda di rapinatori, un altro sono dei profughi stremati che sbarcano su di una costa, magari a pochi mesi da casa nostra. Ma vivere è un diritto, ci ricorda Hegel, “è un momento assoluto”.
Ricordiamoci dunque del Notrecht, questo diritto agito dal bisogno, altro e diverso rispetto allo scolastico ius necessitatis e anche diverso dallo ius resistentiae, inviso ad Hegel che da sempre vi aveva scorto una scappatoia della reazione feudale rispetto all’erosione dei privilegi da parte del governo e del re. Per questo aspetto, non si allontanava dalla tradizione liberale inglese e da Kant che, ne La metafisica dei costumi, aveva condannato il diritto di resistenza. Siamo seri. C’ è un diritto assoluto a vivere, oltre la necessità e la resistenza. Di questo ne va, parlando di vita e di morte.
Luciano De Fiore è docente di Storia della filosofia contemporanea. Tra le ultime pubblicazioni La città deserta. Leggendo il Sapere assoluto nella Fenomenologia dello spirito di Hegel; Philip Roth. Fantasmi del desiderio; Anche il mare sogna. Filosofia dei Flutti.