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Da uomo eroe a In-Influencer: come le Instagram stories raccontano la società liquida

illustrazione di Simona Bramucci
parole di Serena Rosticci
Le Storie di Instagram offrono un contenuto esclusivo che domani nessuno ricorderà più. È la narrazione social che non ha alcuna pretesa di essere ricordata. Veloce, liquida, adatta alla società in cui viviamo

C’era una volta una volpe che non riusciva ad arrivare all’uva. Anzi no. C’era una volta Chiara Ferragni che aspettava un bambino. Meglio: c’era una volta Fedez che, per fare uno scherzo a Fabio Rovazzi, decide di lasciare il numero di cellulare di quest’ultimo in una delle sue Instagram Stories. Insomma, oggi di storie da raccontare ne abbiamo a migliaia, anche se non tutte hanno lo stesso spessore, la stessa morale e – soprattutto – la stessa pretesa di durare nel tempo che aveva la favola di Esopo sopra citata. Oggi viviamo di tutto un altro tipo di storie: moderne, veloci da raccontare quanto da dimenticare. Sono quelle che vediamo e postiamo ogni giorno su uno dei social del momento: Instagram.

Le “Instagram Stories”
Foto o brevissimi video con cui documentiamo la nostra giornata e che non rimangono online per più di 24 ore: parliamo delle “Instagram Stories”, una delle funzioni del celebre social delle immagini utilizzata da circa 250 milioni di utenti al giorno. Ormai tutti “fanno storie”, tanto che Il Post le definisce “uno strumento fondamentale nelle attività sui social network di brand e celebrities”. Un tool che però non non nasce proprio da un’idea così originale…

Quei geni “copioni” di Instagram
Già, perché copiare non è robetta da studenti. Lo sanno bene in quel di Instagram dove, circa un anno fa, arriva l’accusa di aver rubato l’idea delle “Stories” da Snapchat. Le Storie tanto utilizzate da tutti per raccontare le proprie giornate nascono infatti proprio sull’app di messaggistica più amata dai teenager, quella con il fantasmino su sfondo giallo. Eppure, a oggi, sono quelle di Instagram ad aver avuto la meglio in tantissimi Paesi del mondo, Italia compresa. Che l’idea sia nata dalle menti di Snapchat in pochi se ne ricordano.

Veloce ergo geniale
La chiave del successo delle Storie starebbe proprio nella loro caratteristica “fugace”. La logica che rende così attrattivi questi video e queste foto è infatti molto semplice: un follower di un brand o di un influencer viene attirato da questi contenuti perché esclusivi, pensati solo per i più attenti. Scomparendo dopo 24 ore, regalano un valore aggiunto che fidelizza chi segue, e che riduce la distanza fra brand e utente finale.
E ovviamente non è solo l’Influencer che può postare la sua “Instagram Story”. Scorrendole sul social fotografico posso vedere quello che stanno combinando tutti quelli che fanno uso della funzione e di cui sono follower: dalla celebrity del momento al mio ex.

La nostra, una Storia “liquida”
Insomma, le Storie di Instagram mi regalano un contenuto esclusivo, ma che domani nessuno ricorderà più. E va bene così: la narrazione social non ha alcuna pretesa di restare, di durare nel tempo, di essere raccontata. È veloce, “liquida” – per definirla alla Bauman – come il resto delle cose che ci circondano, come la società in cui viviamo. Tutto passa, tutto invecchia velocemente, niente dura in eterno: il lavoro, l’amore, la tecnologia, i rapporti con le altre persone, e così la nostra stessa storia. L’uomo occidentale non guarda più all’infinito, ma solo a sé stesso. Per millenni le narrazioni – da Omero in poi – sono state racconti di come l’uomo, l’eroe, cercasse di superare sé stesso, di trascendersi, di cercare fuori di sé qualcosa che lo eternasse. A un certo punto però – in particolar modo con la postmodernità – l’essere umano ha deciso di non guardare più il cielo sopra la sua testa. È diventato funzionale all’attuale modello di vita, di produzione di beni, di organizzazione della vita pubblica: un uomo che vive immerso in una palude di soggettivismo. Se prima la letteratura mostrava il corpo a corpo dell’uomo col suo destino eterno, adesso funzionano i racconti di piccole felicità trovate nelle piccole cose: i momenti quotidiani, gli attimi della giornata, solo questi contano. Così, mangiare uno yogurt, sbattere le ciglia, muovere i piedi con effetto “boomerang” è degno di essere filmato. E poi cancellato.

Storie usa e getta
Il bello di Instagram è che non solo soddisfa il nostro ego narcisista, ma ci rende protagonisti permettendoci di diventare gli autori della storia. Nel creare “Instagram Stories” siamo portati a pensare però a un tipo di contenuto che nasce per essere postato e consumato. In una società che, tornando a citare Bauman, “vive per il consumola nostra stessa storia si trasforma in una merce usa e getta. Un consumismo questo che mira proprio a quell’utilizzo temporaneo di oggetti di desiderio in cui appagarsi, trovandoli in breve obsoleti e passando quindi da un consumo all’altro in una sorta di bulimia.

Da grande voglio essere… dimenticato
Così, da “aspiranti eroi” con il sogno di compiere quelle imprese leggendarie che tanto ammaliavano l’uomo nella narrazione classica, quella social – in particolar modo quella fotografica delle “Instagram Stories” – ci condanna ad ambire a diventare tutti “Signor nessuno”, In-Influencer – passatemi il termine – con il desiderio di raggiungere la notorietà di Gianluca Vacchi e Mariano Di Vaio, ma di cui nessuno avrà mai memoria. E a noi sta bene così.


Serana Rosticci è giornalista, blogger e mamma. A 5 anni impara a scrivere, a 7 le maestre la incoraggiano, a 12 i prof le dicono che forse sta esagerando. Ma non capisce mai quando è il momento di dire basta e continua a esagerare ancora oggi che di anni ne ha 30. Specializzata in frivolezze e sentimentalismi, ama posare i suoi pensieri su tutto.

Matteo:
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