X

Come il moscerino TAV è divenuto elefante

illustrazione di Matteo Sarlo
parole di Sergio Benvenuto

Questo non sarà un articolo per sostenere che la TAV (la linea ferroviaria Torino-Lione) è un’ottima cosa da fare, né per sostenere che è un obbrobrio e che va fermata. Semplicemente perché non sono uno specialista che abbia studiato seriamente la questione. Sono un cittadino medio un po’ informato, tutto qui. Per capire veramente l’utilità o meno della TAV dovrei dedicare almeno sei mesi della mia vita a leggere l’ampia letteratura sull’argomento, leggere tutte le relazioni tecniche specialistiche che si sono succedute negli anni, ecc. Ma né io, né la maggioranza dei miei lettori, dispongono di sei mesi da spendere per una cosa del genere. Come si diceva un tempo: “ho una famiglia sulle spalle, altro che TAV!” Questo vale per tutte le questioni tecniche della politica: NESSUNO HA TEMPO DI APPROFONDIRLE. Per cui ognuno segue le opinioni, spesso sballatissime, del proprio medium del cuore. Insomma, non ho alcun parere tecnico sulla TAV.

         (Questo vale per la maggior parte delle questioni politiche di cui si dibatte. L’elettore o l’elettrice non capisce nulla della maggior parte di queste questioni, perché sono troppo complesse e ci dovrebbe dedicare troppo tempo per capirle. Questa è una fragilità fondamentale della democrazia, che sta cominciando a venir fuori. All’epoca dei dispotismi, il re o la regina, l’imperatore o l’imperatrice, personalmente poteva non capire nulla dei problemi politici in gioco, comunque si circondava dei massimi esperti di ogni problema del suo paese. A meno che non volesse fare tutto di testa propria, di solito seguiva i pareri di quelli che oggi chiamiamo “i tecnici”. Anche quando questi tecnici consigliavano iniziative che poi si dimostravano fallimentari, il re o la regina, l’imperatore o l’imperatrice, non poteva essere accusato di ignoranza o ingenuità: aveva seguito i consigli dei consiglieri. In democrazia, invece, ogni elettore ed elettrice deve scegliere tra questioni complicatissime ma senza disporre di consulenti al più alto livello. Certo alcuni media invitano anche gli specialisti ad esprimersi, ma siccome vale la par condicio, questi esperti vengono scelti per sostenere tesi contrapposte, e quindi l’elettore è ancora più frastornato. Deve decidere a naso, seguendo l’odore dei propri pregiudizi. Èun problema serio: nessun elettore è in grado di farsi un’opinione esperta dei problemi che la politica deve affrontare. La democrazia poggia sulle decisioni degli inesperti. Se l’elettore o l’elettrice è un professore universitario di genetica, mettiamo, sarà dottissimo sul genoma, ma nella politica si confronta con questioni di cui lui o lei non ha la più pallida idea.)

         Quel che mi colpisce di più, però, al di là delle diverse opinioni anche degli esperti, è la carica direi partigiana, fanatica, spesso anche barricadera, che informa il dibattito tra No-TAV e Sì-TAV. Questa passione esagitata caratterizzava un tempo soprattutto gli anti-TAV, per i quali sembrava che impedire la costruzione di quella linea ferroviaria fosse come fermare l’impero austro-ungarico sul Piave. Eppure si tratta solo di 81 km di strada ferrata in territorio italiano, una bazzecola. Comunque, anche molti pro-TAV sono stati contagiati da questa hybris, e assumono anch’essi spesso toni apocalittici. Mi chiedo: da dove viene tutta questa eccitazione? Quando vedo in televisione Marco Travaglio urlare, con la gola che gli si gonfia, contro l’obbrobrio della TAV, mi sembra che egli non stia discutendo di un banale progetto di ferrovia, ma della promulgazione di leggi razziali in Italia o peggio…

         Pur non essendo un esperto della questione TAV, mi sembra comunque evidente che si tratti di una misura squisitamente tecnica, che può essere utile o inutile. Del resto, ogni scelta tecnica è rischiosa: col tempo, alcune si dimostrano di successo, altre sbagliate. Ne abbiamo tantissimi esempi. Il fattore rischio, o alea, è presente in qualsiasi decisione tecnica. Lo abbiamo ben visto col ponte Morandi a Genova: celebrato per mezzo secolo come un capolavoro, d’un tratto, dopo il 14 agosto 2018, è divenuto un flop storico. Da quel che ho capito, la TAV ha come obiettivo quello di drenare verso il trasporto su strada ferrata un trasporto che oggi, soprattutto in Italia, avviene su gomma. Si tratta di costruire una linea essenzialmente di treni merci per alleggerire il traffico dei TIR sulle autostrade. Tutto qui. Vi si deve costruire qualche galleria, come a centinaia se ne scavano in tutta Europa. Può darsi che sia una misura inutile, anche se in gran parte è finanziata dall’Unione Europea. Diciamo che la TAV è quasi un regalo all’Italia. Quindi, la passione faziosa che si mette in questo dibattito non ha alcuna giustificazione nel problema in sé, che mi pare nel fondo ben modesto.

         Perché poi proprio la linea Lione-Torino è divenuta la posta di uno scontro politico furibondo, e non un’altra delle tante imprese di viabilità che si fanno in Italia? Èprobabilmente frutto del caso. Come talvolta per caso scoppia una rivoluzione. Siccome in Val di Susa ci sono stati mugugni un po’ più forti che altrove da parte dei residenti, questo ha innescato un processo di gonfiatura smisurata del problema. Èun po’ come accade, talvolta, quando un romanzo mediocre diventa d’un tratto un bestseller: puro gioco del caso.

         Continuamente pro-TAV e anti-TAV pagano tecnici per calcolare il rapporto costi-benefici. Ma ho l’impressione che l’appello ai conti, all’economia spicciola, sia come un minuscolo perizoma applicato su un corpo nudo: quello di uno scontro a carattere religioso. Si dice “la questione è politica, non economica” – ma “politica” è troppo debole. Sulla TAV non si scontrano due diverse contabilità, ma sembrano confrontarsi due concezioni del mondo e della vita, due visioni del futuro dell’umanità…. Sembra addirittura che il movimento 5S sia pronto a far cadere il governo di cui è parte pur di impedire la TAV! Da dove viene tutta questa passione “religiosa”?

         Di casi tipo TAV – un moscerino reale che diventa un elefante politico – ce ne sono a bizzeffe. Mi chiedo anzi se la maggior parte delle diatribe politiche non siano di questo tipo. Èun po’ il caso del muro che Trump vuol costruire alla frontiera col Messico. È una misura per fare spettacolo, un circo Barnum, dato che chi vuole emigrare negli Stati Uniti troverà il modo di farlo a dispetto di tutti i muri, che insomma questo muro di fatto non servirà a nulla. Eppure su questa ruota del pavone trumpiano l’America si è divisa in due, come guelfi contro ghibellini. Quel muro è, come si dice in psicoanalisi, un significante, che va molto al di là della contabilità costi-benefici e della sua reale efficacia. Si tratta di una posta simbolica fondamentale. Spesso gli psicoanalisti sono più utili degli economisti nello spiegare i conflitti politici.

          Qualcosa di molto più importante del dibattito sulla TAV fu l’affaire Dreyfus in Francia. Nel 1894 un capitano francese di origine ebraica, Alfred Dreyfus, venne condannato da un tribunale militare per tradimento a favore dei tedeschi, ma poi fu riconosciuto innocente. Dal 1894 al 1906 la Francia si divise nettamente in due, i dreyfusardsche sostenevano l’innocenza del capitano e attribuivano la sua condanna a pregiudizi anti-semiti, e gli altri che ne sostenevano la colpevolezza per il solo fatto che era stato condannato. Fu una sorta di guerra civile francese, non cruenta ma verbale, che alcuni storici considerano una sorta di seconda puntata della Rivoluzione francese. L’affaire lasciò la cicatrice di una divisione profonda tra i francesi. Ora, la posta del caso Dreyfus era molto più seria della TAV, perché qui si trattava della libertà e dell’onore di un essere umano, ma è evidente che il dibattito febbrile che scosse la Francia per 12 anni non ha alcuna comune misura con il fatto in sé: Dreyfus divenne un puro significante attorno a cui, pro o contro, un’intera società si divise. Il dibattito sulla TAV è un piccolo affaire Dreyfus.

Certamente alla base delle passioni anti-taviste e pro-taviste ci sono quelle che un tempo si chiamavano ideologie, e che oggi si chiamano narrazioni. I No TAV sono affascinati da una narrazione in senso lato ecologista, la quale, riassunta, dice: “Qualsiasi costruzione che modifichi un paesaggio naturale è in linea di massimo brutta, pericolosa e cattiva”. Dalla parte delle narrazioni pro-TAV c’è l’idea che invece tutto ciò che è modifica industriale del mondo naturale è progresso che va benedetto (e che Carlo Verdone espresse bene in un suo personaggio, un candidato a sindaco di Roma il cui programma consisteva nel trasformare il Tevere in un’autostrada). Entrambe le narrazioni, quando applicate a contesti specifici e concreti, sono per me stupidaggini. Esse ci liberano dall’onere di pensare e assecondano i nostri istinti, secondo me, più bassi: quelli del pregiudizio ideologico.  Qualcosa di simile si profila nel dibattito, anch’esso risorgente da decenni, sull’eventuale ponte sullo Stretto di Messina. Non ci si può sbagliare: chi è a favore del Ponte di solito si situa a destra (anche se lo sostenne Matteo Renzi, cosa che fu vista come una prova del fatto che ormai fosse uno passato alla destra), chi è contro il Ponte è certamente di sinistra. È come se coloro a cui piace il famoso rosso Golden Gate Bridge di San Francisco, che unisce Marin County a San Francisco, sono di destra, mentre chi lo depreca è di sinistra… Ovviamente, anche nel caso dello Stretto di Messina sia chi è contro sia chi è a favore invoca il rapporto costi-benefici, ma queste lunghe e false diatribe da ragionieri camuffano il contrasto tra due narratives opposti sul Bene e sul Male. Due diverse contabilità mascherano la guerra di religione.


Sergio Benvenuto è psicoanalista, filosofo e saggista italiano. Già Primo Ricercatore presso il CNR a Roma, dirige lo ”European Journal of Psychoanalysis”.  Tra i suoi volumi più recenti, La psicoanalisi e il reale. “La negazione” di Freud(Napoli: Orthotes, 2015); What Are Perversions? (London: Karnac, 2016); Leggere Freud (Napoli: Orthotes, 2018) e Godere senza limiti. Un italiano nel maggio 68 a Parigi (Milano: Mimesis, 2018).

Matteo:
Related Post