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BERLINO, UNA E BINA

illustrazione di Matteo Sarlo
parole di Sergio Benvenuto

Ad ottobre sono stato a Berlino, città che credo di conoscere bene, anche se ogni volta che ci torno scopro cose nuove, e mi vergogno di non averle conosciute prima. Questa volta ho parlato a lungo con berlinesi che hanno radici a Ovest e altri che ne hanno a Est. E ho capito meglio il modo in cui si sono unite, senza fondersi per decenni, le due diverse Germanie.

I miei amici, Lang, vivono a Berlino Ovest da tre generazioni. I nonni, settantenni, andarono a vivere a Berlino Ovest quando era già stato rizzato il muro, la loro figlia è nata nel 1980 quando il muro c’era ancora, e per i figli adolescenti tutto ciò è storia. Appartengono alla media borghesia intellettuale, giornalisti, psicoterapeuti, insegnanti. Tutte e tre le generazioni sono di sinistra, ovvero votano SPD (social-democrazia) o talvolta Grünen (Verdi). Non la Linke (sinistra). La figlia di 15 anni, volendo scavalcare a sinistra i genitori come cercano di fare tutti gli adolescenti figli di genitori di sinistra, dice che quando avrà diritto al voto lo darà alla Linke. “Perché – le dice la madre – sei nata nella Germania dell’Est?” In effetti, il tipico voto per la Linke è il voto per la sinistra sovietica, per la sinistra nostalgica della DDR (Deutsche Democratik Republik), e la votano – ma sempre meno – quelli dell’Est.

Chiedo se ancora si notino differenze tra i tedeschi che vengono dall’Est e quelli che vengono dall’Ovest. La risposta è che i giovani sotto i 30 anni, nati cioè dopo il crollo del Muro, sono di fatto indistinguibili tra chi viene da famiglie orientali e chi viene da famiglie occidentali. Ma man mano che l’età si alza, le differenze persistono, e si notano quasi a vista. Quando la città si unificò, gli occidentali scoprirono che quelli di Berlino est avevano conservato la parlata berlinese tipica, scomparsa all’Ovest. Questo perché la politica della Germania federale (occidentale) all’epoca era di incoraggiare qualsiasi tedesco, soprattutto giovane, ad andare a Berlino Ovest, per non lasciarla morire come una enclave isolata in un paese comunista. I berlinesi veri sono rimasti a Est, a Ovest convergeva la Germania intera.

Essendosi i nonni spostati a Berlino Ovest dopo la costruzione del muro (1961), di fatto non hanno conosciuto tedeschi dell’Est, tranne quelli che erano fuggiti, e che dicevano ovviamente peste e corna della DDR. Ma stranamente non sentivano il muro come una presenza opprimente: era come un braccio di mare che separi due paesi del tutto simili. Un po’ come, per noi, l’Adriatico che separa Italia e Croazia. Il loro sguardo era tutto rivolto a Ovest.  Lamentavano solo il fatto che Berlino Ovest fosse una realtà unicamente urbana, i bambini non avevano idea della campagna; a meno di non portarli a centinaia di chilometri, a Ovest.

Molti tedeschi dell’Est hanno comunque una certa nostalgia dell’epoca DDR. La si chiama Ostalgia, da Ost (est) e Nostalgia. Questo anche se non erano comunisti e idealizzavano la Germania che stava dall’altra parte – l’hanno talmente mitizzata, che quando l’hanno potuta vedere de visu, col tempo sono rimasti un po’ delusi. Nessuno credeva alla propaganda del regime secondo cui si stava molto meglio a Est che a Ovest: tutti sapevano che il livello di vita a occidente era superiore, che c’era più libertà. Eppure rimpiangono un certo senso della Gemeinschaft, della comunità, insomma della solidarietà umana nel quotidiano spicciolo, senso che con il passaggio al capitalismo si è perso. A Berlino Est i rapporti di vicinato erano intensi e molto importanti, perché se si aveva qualche problema si ricorreva sempre a qualche amico, parente o vicino. Ad esempio, se la radio non funzionava, ci si rivolgeva all’amico ingegnere, dando per scontato che, essendo ingegnere, capisse anche le radio. Se si rompeva il lavabo del bagno, ci si rivolgeva all’architetto del palazzo… Oggi sarebbe impensabile: ciascuno deve chiamare il radiotecnico o l’idraulico, e pagarlo. Ciascuno allora faceva del bricolage: si aggiustavano gli oggetti in casa, da soli si dipingevano le pareti… La descrizione di questo piccolo mondo antico mi ricorda la Napoli degli anni 1950, dove ho trascorso la giovinezza: anche allora si preferiva la perizia dell’amico “esperto” piuttosto che chiamare lo specialista. I rapporti di vicinato erano intensi e talvolta sfociavano in amicizie di una vita. Ho così la conferma di quello che ho sempre pensato: il comunismo, a differenza del capitalismo, è conservatore. Predica cambiamenti totali, ma razzola il mantenimento dei vernacoli, delle solidarietà arcaiche, del senso della comunità, dell’arte d’arrangiarsi. Un patrimonio prezioso, soprattutto per i nazionalisti. Certo anche nel comunismo ci si modernizza, ma a un passo molto più lento. I due paesi, BRD (Bundesrepublik Deutschland) e DDR, avevano due orologi diversi, quello comunista era lento, quello capitalista andava a rotto di collo. Così, quando gli occidentali dopo il 1989 hanno conosciuto finalmente i loro concittadini dell’Est, hanno avuto l’impressione di una Germania rimasta almeno 30 anni addietro.

Oggi però quell’elettorato semi-proletario, “subalterno” direbbe Gramsci, che a Est votava Linke oggi vota sempre più per il partito filo-fascista AfD (Alternative für Deutschland), sovranista e xenofobo. La protesta di chi si sente periferico contro il mondo globalizzato, vincente, come un po’ dappertutto in Occidente, slitta sempre più dall’estrema sinistra all’estrema destra.

Il passaggio dal comunismo sovietico al capitalismo renano non ha comportato una netta ripulsa dell’epoca comunista a Est. Mentre dopo il 1945 le repubbliche italiana e tedesca si sono costituite su una base chiaramente e drasticamente anti-fascista, al contrario dopo il 1990 la nuova repubblica tedesca non si è costituita su una base anti-comunista. Non ci sono state vere epurazioni di coloro che comandavano nella DDR, anche se di fatto avevano commesso crimini. Non c’è stato un processo di Norimberga al comunismo. Anche perché ci si è resi conto che, dopo tutto, milioni di tedeschi avevano creduto nella DDR, demonizzare la loro fede dissolvente li avrebbe umiliati. A Berlino le strade inneggianti ai grandi comunisti del passato hanno mantenuto il loro nome: Karl-Marx-Strasse, Friedrich-Engels-Strasse, Rosa-Luxemburg-Platz, Karl-Liebknecht-Strasse… E ovviamente c’è una Bertolt-Brecht-Platz, dove ancora opera il Berliner Ensemble, il teatro che Brecht creò a Berlino Est. Dalle strade sono stati cancellati i nomi dei comunisti non tedeschi, in particolare Lenin. Ma non c’è certo una Walter-Ulbricht-Strasse né una Erich-Honecker-Platz (Ulbricht e Honecker furono torvi dirigenti della DDR). Il senso è chiaro: socialismo e comunismo prima che si “realizzassero” nella DDR sono un patrimonio che la Germania di oggi riconosce, ma non il “socialismo reale” che ne fu il rampollo. Un’idea in fondo alquanto condivisa in Occidente, dalla destra alla sinistra.

A Berlino ho visitato una mostra, “Berlino mezza capitale”, su Berlino Est. La mostra verrà chiusa il 9 novembre, giusto trent’anni dopo la fine del Muro. In questa esposizione multimediale il muro resta un po’ sullo sfondo, e l’immagine che ne esce non è dopo tutto quella di una città plumbea e povera come la si dipingeva in Occidente durante la guerra fredda, ma sembra avvolta da una bonaria e struggente Ostalgia. La Germania unita ci ha tenuto a non ripudiare l’epopea comunista che ha attraversato la sua storia e la sua Kultur.

Questo è stato facilitato dal fatto che Berlino, dal 1991, è stata retta per 19 anni da sindaci di sinistra, e per soli 10 anni da un sindaco CDU. Berlino respira “di sinistra”. Attualmente la città è governata da una giunta che unisce SPD, Verdi e Linke, sindaco Michael Müller. Da qui i suoi scrupoli ecologici, lo spazio dato alle bici e al Roller, il monopattino elettrico che affascina soprattutto i bambini, l’attenzione data ai quartieri poveri, e in genere quell’atmosfera liberal, un po’ libertina, che sta facendo di Berlino, dopo un certo declino di Barcellona, il polo di attrazione di una gioventù assetata di movida e di adolescenziale lifestyle.
[Essere città di sinistra, per Berlino, non è affatto originale. Quasi tutte le grandi capitali e metropoli occidentali hanno sindaci di sinistra. A Parigi governa una socialista (Hidalgo), a Londra un laburista di origine pachistana (Khan), a Barcellona una catalanista di sinistra (Colau), a New York un democrat quasi socialista (de Blasio), a Los Angeles e a San Francisco dei democrats (Garcetti e Breed), Chicago ha come sindaca una afro-americana democrat dichiaratamente lesbica (Lightfoot), a Milano un manager di sinistra (Sala), a Francoforte un socialdemocratico (Feldmann), a Bruxelles un socialista (Close), ad Amsterdam una ecologista di sinistra (Halsema)… e potremmo continuare molto a lungo. Le metropoli sono a sinistra, purtroppo non lo è il resto di ciascuno di questi paesi, come ben sappiamo.]

Dopo l’unificazione tedesca, è stata lasciata anche la statua della coppia Marx-Engels, scolpita nel 1986 secondo il classico stile Sfinge dell’iconografia sovietica. Prima era al centro della Alexanderplatz, la più importante piazza della Berlino est. Oggi è stata spostata nel Marx-Engels Forum, parco sulla riva della Sprea, non lontano dalla Museumsinsel, l’isola pieni di musei che costituisce il cuore museale di Berlino. Il messaggio è chiaro: Marx ed Engels, il comunismo, sono una gloria museale. Marx barbuto è seduto su una sedia, come fosse un re. Engels, anch’egli barbuto, alla sua sinistra in piedi. Entrambi fissi e solenni come mummie. Lo scultore DDR ha dovuto quadrare il cerchio di una gerarchia imbarazzante: da una parte occorreva rimarcare il primato di Marx come fondatore del comunismo, ma non si poteva umiliare Engels come semplice comprimario. Così, a Engels si è dato il privilegio di sovrastare Marx in altezza, a Marx il privilegio regale di starsene sul trono.

Ci si chiede perché la sinistra “occidentale” non abbia pensato a una nuova scultura con un gusto più Aktualisiert. Ma era proprio per non marcare una netta discontinuità tra la Berlino DDR e quella DBR. Berlino non rimuove il suo lato sinistro, e anche da questa promiscuità nasce il suo Charme.

Sergio Benvenuto è psicoanalista, filosofo e saggista italiano. Già Primo Ricercatore presso il CNR a Roma, dirige lo ”European Journal of Psychoanalysis”.  Tra i suoi volumi più recenti, La psicoanalisi e il reale. “La negazione” di Freud(Napoli: Orthotes, 2015); What Are Perversions? (London: Karnac, 2016); Leggere Freud (Napoli: Orthotes, 2018) e Godere senza limiti. Un italiano nel maggio 68 a Parigi (Milano: Mimesis, 2018).

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