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Ed Sheeran, Divide e la filosofia della popmusic
01/03/2017|L'EVENTO

Ed Sheeran, Divide e la filosofia della popmusic

Ed Sheeran, Divide e la filosofia della popmusic
illustrazione di Matteo Sarlo
parole di Nicole Paglia

 

Èuscito Divide, l’ultimo lavoro di Ed Sheeran, che rappresenta il terzo capitolo del suo progetto matematico: si era infatti partiti nel 2011 con + (Plus), l’addizione, per passare poi nel 2014 all’operazione di moltiplicazione con l’uscita di x (Multiply) che ha venduto più di 13 milioni di copie, arrivando ora alla divisione di questo album che, tuttavia, di frammentario sembra aver davvero ben poco. I due singoli, Shape of you e Castle on the Hill, usciti in anteprima questo 6 Gennaio, avevano anticipato questo lavoro, schizzando ai vertici delle classifiche e raggiungendo un boom di visualizzazioni e streaming che appartengono solamente a lui (superando i 13 milioni nelle prime 24 ore e raggiungendo 6.868.642 streaming per Shape of you e 6.168.395 per Castle on the Hill).
Già dal primo ascolto si capisce che Divide è un ottimo lavoro, forse uno dei più organici ed eterogenei, in cui ognuno dei 16 pezzi presenti nell’edizione Deluxe racconta, in un susseguirsi di diversi stili, un tassello del mosaico della sua storia artistica e personale. Ogni canzone non è altro che un frammento di vita quotidiana di un ragazzo che, nonostante la giovane età, ci trasporta con consapevolezza nel suo mondo, fatto di amore, nostalgia, divertimento e abbandono, con un’originalità e un’immediatezza che ben pochi possono vantare.
Pop, blues, rap, tropical pop, ballate d’amore e perfino il folk irlandese, tutto accompagnato dall’immancabile chitarra acustica, su cui poggia una voce calda e vibrante che, in alcuni casi, è seguita da un pianoforte o da un accompagnamento di archi. Divide è tutto questo (oltre ad essere un album che si compone di 16 potenziali hit); un disco che si è fatto attendere ma che è stato pensato fin nei minimi dettagli e che rappresenta forse, per utilizzare un’espressione matematica, la “quadratura del cerchio” di un artista che non smette di sorprendere.

La domanda

Ma perché questo ragazzo, dai cappelli rossi e gli innumerevoli tatuaggi che ricoprono tutta la parte superiore del suo corpo, piace così tanto?
Spesso l’idea che può farsi strada ascoltando un tormentone, passato continuamente in radio, è quella di “un prodotto consumabile”, commerciale, destinato a durare lo spazio di una stagione, e che rappresenta la punta di un iceberg di plastica – l’album da cui è tratto per l’appunto –  che dovrebbe, con molta probabilità, soltanto essere riciclato. Inoltre, a questo tipo di prodotti è spesso associata la figura di un personaggio – ovviamente di plastica – dal sorriso ben impostato, il capello gelatinato e perché no, se c’è anche un bicipite in mostra non guasta, che tempo qualche mese fa di solito la fine delle bottiglie d’acqua dopo una lunga sessione d’allenamento in palestra.
Questa è una teoria che, nella maggior parte dei casi, funziona – d’altronde si sa molti prodotti «usa e getta» sono di plastica –  ma, ci sono le dovute eccezioni e il caso Ed Sheeran è proprio una di quelle.
E lo è per due ragioni: una fenomenologica, l’altra ontologica.

La ragione fenomenologica

Dopo un silenzio mediatico durato circa un anno, in cui Ed non ha fatto sapere più nulla di sé, nonostante abbia associato il suo nome ad importanti hit del 2016, come Love Yourself interpretata da Justin Bieber –  ed ecco spiegato l’arcano motivo per cui quel pezzo funziona – il 13 Dicembre 2016, inaspettatamente, pubblica sul suo profilo instagram «teddysphotos» uno sfondo blu. Nulla di più, nulla di meno. Un semplicissimo e lineare sfondo di un blu acido e brillante a cui hanno immediatamente seguito i commenti trepidanti dei fans, che scrivono: He is back.
Ebbene sì, Ed Sheeran è tornato e l’ha fatto nel modo che gli è consueto, ovvero con una strategia comunicativa vincente che ha come scopo quello di sorprendere.
Tutto quello che è avvenuto dopo la pubblicazione di questo post, è ormai noto a tutti, o almeno a tutti coloro che possiedono un profilo Facebook o una radio in macchina.
I suoi due singoli hanno raggiunto vertici di condivisione mai visti, la data del 17 Marzo di Torino del suo tour europeo in pochi secondi è andata sold out, al punto che è stato necessario aggiungerne una seconda – sold out anche quella – e il nuovo album è stato uno dei più attesi dell’anno.
D’altronde si sa, lo diceva Husserl in tempi non sospetti, ad avere rilevanza non è il che, il contenuto delle cose, ma il come, il modo della loro manifestazione. E qui, Ed Sheeran, non ha davvero rivali, perché lui, a differenza di molti, sa sorprendere.
Basta guardarlo. Capelli rossi, carnagione chiarissima, sguardo timido e sorriso dolce che rendono ancora più tenero quel suo aspetto di tipico ragazzo inglese un po’ nerd e in sovrappeso. E poi i tatuaggi. Nell’immaginario collettivo di bravo ragazzo quelli non dovrebbero proprio esserci. E invece ci sono. Sono tantissimi e colorati e ricoprono completamente la parte superiore del suo corpo, di solito  vestita con camicie a quadri stropicciate, degne della migliore era grunge, ma che, con il british style, hanno ben poco a che spartire. Ed infine, ultimo tocco, gli occhiali, rigorosamente tondeggianti e marroni, che donano quell’aspetto da intellettuale vagamente alla Woody Allen.
Lui è così; un insieme di elementi, un’accozzaglia di cose che potrebbe far paventare anche l’ipotesi che alla base ci sia semplicemente del cattivo gusto  o l’assenteismo dello stilista, ma tutto questo, sommato alla sua immancabile chitarra e alle derive R&B che spesso percorre, crea, inspiegabilmente, un’armonia perfetta, un’icona mediatica unica, difficile da confondere con altre proprio perché non categorizzabile.
Il pacchetto, nella sua forma, è perfetto. Ma, a differenza di ciò che si tende a credere, la forma non è qualcosa di estrinseco e posticcio che poco ha da dirci sulla profondità del contenuto, ma essa rivela piuttosto qualcosa di essenziale. La verità si trova spesso in superficie, proprio sotto i nostri occhi, e aspetta soltanto di essere scoperta. E nel caso di Ed Sheeran la verità fenomenica è nel video di Shape of you: il susseguirsi continuo di immagini di lui in maglietta, sudato, che compie estenuanti sessioni di allenamento pugilistico – come neanche Rocky ai tempi d’oro riusciva a fare – o che, per dimenticare il dolore della dipartita di lei, si consuma in una corsa sfrenata e senza sosta lungo i binari grigi della ferrovia, è magicamente interrotta dalla scena di lui che indossa, in un surreale combattimento con un energumeno di circa 200 kg, un ridicolo, ma quanto mai geniale, costume da lottatore di sumo, che restituisce finalmente al video l’ironia – o meglio l’autoironia – che sa rendere ogni cosa più bella (non dimentichiamo che, a rendere la faccenda più paradossale, è la ripetizione costante di Come on, be my babe, come on, I’m in love with your body che fa da sottofondo).
Se da una parte Shape of you è una celebrazione del pop e delle sue forme, dall’altra Ed Sheeran ha reso riconoscibile, ancora una volta, il suo marchio,  che  distanzia anni luce questo video, così come la sua musica in genere, dalla commercializzazione e spesso banalità del mondo della popmusic attuale.

La ragione ontologica

Il ragazzo ha del talento e questo, per chi ha un po’ di orecchio e buon gusto, è indiscutibile.
L’album X (multiply), che uscì nel Giugno 2014, è un signor disco, arrangiato bene, in una sintesi perfetta tra melodia e ritmo, in cui si susseguono, senza mai stonare, ballad romantiche e mai stucchevoli (basti pensare a Photograph e Tenerife Sea), a brani con sonorità funky e rhythm (come Sing in cui il tocco di Pharrell Williams è inconfondibile o Don’t), che conducono fino a pezzi con derive hip hop o r&b (The man o Take it back), in cui, però, a dominare è sempre la voce di Ed – lineare, pulita, semplicemente bella – unita alla sua chitarra.
Per dire che è bravo, non bisogna rifarsi al mero gusto soggettivo – perché quello è importante, ma, in molti casi, lascia a desiderare – bisogna semplicemente attenersi al criterio di competenza socratico. La musica, come ogni téchne che circoscrive in modo chiaro e preciso il proprio oggetto, ha limiti e regole ben precise che permettono di stabile quando un prodotto è buono o non lo è, togliendoci così dal fastidioso impaccio di doverci appellare solamente ad un criterio di gusto personale, che il più delle volte risulta essere davvero poco attendibile.
Per accertarvi dell’essenza ontologica di Ed Sheeran, vi basta, allora, aprire YouTube e cercate l’esibizione live a Paddington Town di I see fire e lasciarvi trasportare dalle note in acustico (solo chitarra e loop pedal) e dall’immancabile nostalgia che emerge dalla vibrazione della sua voce.
Il resto, a certi livelli, è superfluo e il pop, se lo fa Ed Sheraan, non lo è mai.


Nicole Paglia è laureata in Filosofia e ha scritto su riviste di filosofia e attualità. Studia fenomenologia e cristianesimo e sta per pubblicare un saggio intitolato «L’altro volto del Mediterraneo», sulla necessità di un ripensamento cristiano dell’idea di Europa.

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